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Il Beoc sostiene gli obiettori greci alle Nazioni Unite

DiMartina Lucia Lanza

Nov 6, 2015

In ottobre il Bureau europeo per l’obiezione di coscienza al servizio militare (Beoc) ha avuto modo di riunirsi a Ginevra in occasione della 115esima sessione del Comitato diritti umani delle Nazioni Unite (ottobre- novembre).

Tale Comitato ha il compito di monitorare l’implementazione del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 da parte degli Stati aderenti.

Il Beoc pone da sempre molta attenzione alle attività del Comitato, dal momento che quest’ultimo ha più volte raccomandato a Stati recalcitranti di rispettare il diritto all’obiezione di coscienza, in quanto riconducibile all’articolo 18 su libertà di pensiero, coscienza e religione del Patto del 1966.

In particolare, alla 115esima sessione veniva analizzata anche la situazione della Grecia, Stato europeo che va sicuramente annoverato tra quelli particolarmente ostinati nel perseguire gli obiettori di coscienza.

In occasione di questa sessione di monitoraggio hanno presenziato, dietro invito della Ong IFOR (meglio nota in Italia come MIR), due rappresentanti dell’associazione greca degli obiettori di coscienza. L’obiettore George Karatzas ha preso la parola per dare testimonianza sulla situazione sua e di molto altri, sul carattere discriminatorio del servizio alternativo – nei pochi casi in cui venga concesso e prettamente per obiezione basata su motivi religiosi e non pacifisti – ed il girone infernale dei ripetuti processi penali subìti nel caso in cui non si risponda alla chiamata, i quali si concludono spesso con un’ammenda di 6.000 euro.

Se l’obiettivo era quello di portare l’attenzione su questa tematica non si può dire che non sia stato raggiunto. In particolare, un illustre membro del Comitato diritti umani, Mauro Politi, ha voluto chiedere chiarimenti al governo greco su numero degli obiettori, durata del servizio civile alternativo, composizione della commissione che valuta i richiedenti lo status di obiettore. Tuttavia il punto particolarmente importante è la preoccupazione per la violazione del principio del ne bis in idem, considerato che la Grecia continua a processare gli obiettori finchè questi non raggiungono l’età in cui non possono più svolgere il servizio militare.

Il delegato governativo ha tergiversato sui dati richiesti da Politi – che sarebbero risultati non positivi ai fini del monitoraggio – ed ha sottolineato che tutti gli obiettori per motivi religiosi possono svolgere un servizio alternativo a quello militare. Rispetto al ne bis in idem, il governo greco ha affermato che il problema non si pone, in quanto si tratta ogni volta di una nuova chiamata per l’arruolamento e di un conseguente nuovo processo. A questo punto, Politi ha trattenuto a stento risate tra l’amaro e l’ironico, in quanto, testuali parole, “secondo la sua opinione quel che si intende per ne bis in idem è tutt’altro”.

Occorrerà adesso aspettare la diffusione delle osservazioni finali sul monitoraggio della Grecia per vedere se quanto emerso troverà spazio, ma soprattutto se cambierà questa situazione di vessazione continua in cui vivono gli obiettori di coscienza greci.

Di Martina Lucia Lanza

Esperta in diritto internazionale dei diritti umani. Rappresentante del Movimento nonviolento presso l’European Bureau for Conscientious Objection (Ebco) e board member di quest'ultimo.

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