E questo avviene in parallelo all’aumento dei conflitti armati, in particolare nell’area nordafricana e mediorientale. La nuova amministrazione statunitense sta aumentando ulteriormente le spese per la difesa, che con 633 miliardi di dollari rappresentano il 36% della spesa militare mondiale, più del doppio di quella cinese (250 miliardi $) e quasi dieci volte quella russa (64 miliardi $). La Casa Bianca sta esercitando un considerevole pressing sui suoi alleati per ottenere anche da essi un incremento in questo settore.
La NATO e anche i paesi dell’Unione Europea stanno procedendo in tale direzione. In particolare l’Unione Europea, con il Piano d’azione per la difesa europea, approvato dal Consiglio Europeo già il 15 dicembre 2016, ha destinato al settore ben 13 miliardi per il periodo 2021-2027, che si andranno a sommare ai singoli budget nazionali. Ma va ricordato che già da tempo vi erano stati dei finanziamenti di “almeno 315 milioni di euro di fondi per la ricerca che sono stati concessi a diversi progetti sui droni, finanziando di fatto le imprese di armamenti europee.
Questo è avvenuto già attraverso il 5° programma quadro 1993-99 (Framework Programme 5 – FP5), con progetti di ricerca e sviluppo (R&S) sulla tecnologia dei droni in ambito civile e successivamente con i programmi FP7 (Framework Programme 7 – settimo programma quadro), Horizon 2020 e COSME”1. Occorre ricordare poi che vi è anche un altro fondo, lo European Peace Facility (strumento europeo per la pace) con 10,5 miliardi di euro, uno strumento fuori bilancio proposto al di fuori del quadro finanziario pluriennale. Insomma, da parte dell’Unione Europea si stanno erogando fondi sostanziosi al settore della difesa, che non appaiono quando si analizzano le spese militari nazionali.
Domani i capi di governo dell’Unione discuteranno il bilancio che è lo strumento concreto poi per il funzionamento dell’Unione, che, però, nell’ambito della politica estera e della sicurezza non riesce ancora a muoversi in modo compatto ed unitario, mostrando tutte le debolezze politiche a fronte di sfide globali sempre più impegnative.
La vicenda libica ne è purtroppo un esempio sia nelle vicende passate sia nella situazione attuale. I finanziamenti erogati pertanto appaiono essere più un sostegno alle industrie del settore, ma non rispondono alla necessità dell’UE di fare un salto di qualità per una vera politica della difesa congiunta. Le varie iniziative adottate (tra cui il Trattato di Aquisgrana tra Francia e Germania2) appaiono rimanere più dichiarazioni di principio che passi concreti. Di fronte ad emergenze come i cambiamenti climatici o i movimenti migratori globali l’azione nazionale rimane largamente insufficiente ed inadeguata, ancor di più del settore della difesa dove l’UE dovrebbe avere un ruolo equilibratore nelle tensioni internazionali e non comprimario di altri attori. Con altrettanta responsabilità si dovrebbe muovere nell’esportazione di armamenti e munizioni, mentre purtroppo ha un ruolo rilevante nell’invio di tali merci proprio nelle aree di crisi e di conflitto3.
Maurizio Simoncelli
Fonte: archiviodisarmo.it
1 Luci ed ombre del Piano d’azione europea in materia di difesa di Maurizio Simoncelli, vedi anche Evoluzione e prospettive della politica di sicurezza e difesa dell’Unione Europea (2016- 2018) di Benedetta Giuliani,
2 ll Trattato di Aquisgrana: il rilancio della relazione franco-tedesca e le sue possibili implicazioni per la difesa europea di Benedetta Giuliani,
3 Normativa e prassi europee sull’esportazione di materiali di armamento: focus sulle regioni nordafricana e mediorientale di Valentina Ricca,