• 3 Luglio 2024 11:30

Il bivio dell’umanità, il varco della storia

DiDaniele Lugli

Ott 24, 2022

“L’umanità a un bivio. Il dilemma della sostenibilità a trent’anni da Rio de Janeiro”, ultima opera di Giangi Franz, è al centro di un incontro al quale ho partecipato anch’io venerdì 21 ottobre a Ferrara. Mi limito a riproporre il mio piccolo contributo.

Si parte da un’affermazione del libro:

Siamo a un bivio e ciascuno di noi deve scegliere verso quale direzione procedere; nessuno può chiamarsi fuori da questa sfida, se non altro per responsabilità verso figli e nipoti, con l’aggravante che non ci è più concesso di sbagliare direzione o – com’è accaduto a Glasgow – di continuare a temporeggiare nel fronteggiare le crisi ecologica e climatica, preferendo noi vivere e pensarci in un eterno presente.

A me, a Paola Roncarati Presidente del Garden Club di Ferrara, a Giuseppe Scandurra docente di antropologia culturale sono affidate alcune parole chiave, rispettivamente: Spreco e Parsimonia, Coltura e Cultura, Utopia e Progetto. Dopo l’intervento di Pierluigi Stefanini, Presidente dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, conclude l’incontro l’autore del libro.

Dopo l’introduzione di Cinzia Bracci, Presidente del Centro Documentazione e Sviluppo che organizza l’incontro, Annalisa Ferrari mi rivolge un paio di domande: “Spreco e Parsimonia: È finito il tempo dello Spreco? La Parsimonia può diventare un valore?”.

Spreco e Parsimonia si presentano assieme. La parsimonia raccomandata è un rito penitenziale, destinato a donne e uomini poveri o in procinto di diventare tali. Si diventa poveri senza passare per la parsimonia, senza interrompere consumo e spreco. Produrre e consumare è un processo circolare / consumo e produzione non tollerano interruzione. Dice Aldous Huxley, ne “Il mondo nuovo”: “Aggiustare è antisociale”.

Ho dedicato piccolissimi racconti, modeste riflessioni a questi temi venti anni fa, su un foglio di Legambiente. Ora stanno in un libriccino, “Sassolini di Pollicino”, che è piaciuto a chi organizza questo incontro.

C’è lo spreco di chi ha poco e quello di chi ha troppo. La diseguaglianza, si dice, è legata al merito. Se la forbice cresce vuol dire che crescono meriti e demeriti. Che i ricchi diventino sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri è dunque sviluppo delle rispettive propensioni e capacità. Se proprio, caritatevolmente, si vogliono attenuare le distanze solo ci si può affidare all’imparziale mercato e al progresso tecnico scientifico. Altri tentativi sono finiti in tragedia. Ce lo dice la Tina: l’acronimo inglese assicura che non ci sono alternative. Invece alternative ce ne sono sempre. Bivi si presentano. Una strada è in salita e una in discesa. È quella, sbagliata, che imbocchiamo.

È finito il tempo dello Spreco? Deve finire se non altro perché è finito il mondo che abitiamo e sfruttiamo. Luigi Ferrajoli pensa a una Costituzione della terra per mettere il diritto al servizio della nostra salvezza. Nella premessa all’articolato scrive: “abbiamo devastato l’ambiente naturale e messo in pericolo, con le nostre attività produttive, l’abitabilità del nostro pianeta; consapevoli della catastrofe ecologica che incombe sulla Terra, del nesso che lega la sopravvivenza dell’umanità e la salvaguardia del pianeta e del rischio che, per la prima volta nella storia, il genere umano, a causa delle nostre aggressioni alla natura, possa avviarsi all’estinzione; decisi a salvare la Terra e le generazioni future dai flagelli dello sviluppo insostenibile, delle guerre, dei dispotismi, della crescita della povertà e della fame, che hanno già provocato devastazioni irreversibili al nostro ambiente naturale, milioni di morti ogni anno, lesioni gravissime della dignità delle persone e un’infinità di indicibili privazioni e sofferenze”. Consapevoli e decisi dice, beneaugurante Ferrajoli.

Cito ancora un mio pezzetto di vent’anni fa. “Stiamo sperperando le risorse del pianeta, con la soddisfazione di poter ripetere: dopo di me il diluvio. Bella soddisfazione. E questo in nome della libertà. Mentre sappiamo con Hans (Jonas) che primo compito di ogni libertà, anzi condizione del suo sussistere, è porsi dei limiti. Questo non fa, e lavora dunque alla sua schiavitù, chi restituisce ciò che prende dal tutto in modo non più utilizzabile. Questo si diceva con Hans: noi siamo il pericolo dal quale siamo circondati, con il quale dobbiamo in avvenire lottare”.

L’avvenire è arrivato. Ecco perché la battaglia è prima di tutto culturale. Non basta l’ovvia razionalità della cosa. Un cambiamento necessario e profondo non avverrà se non ne avvertiremo il desiderio. Pressante è l’invito a sempre maggiore velocità, altezza, potenza, secondo il motto olimpico citius, altius, fortius. Antidoto potrebbe essere l’inversione proposta da Alex Langer: lentius, profundius, suavius, più lentezza, profondità, dolcezza. Ce ne ha parlato circa trlent’anni fa con parole che a me suonano attuali. “La domanda decisiva quindi appare non tanto quella su cosa si deve fare o non fare, ma come suscitare motivazioni e impulsi che rendano possibile la svolta verso una correzione di rotta. La paura della catastrofe, lo si è visto, non ha sinora generato questi impulsi in maniera sufficiente ed efficace, altrettanto si può dire delle leggi e controlli; e la stessa analisi scientifica non ha avuto capacità persuasiva sufficiente. A quanto risulta, sinora il desiderio di un’alternativa globale – sociale, ecologica, culturale – non è stato sufficiente, o le visioni prospettate non sufficientemente convincenti”.

La Parsimonia può diventare un valore? È un valore. La natura lo insegna e lo pratica. Galilei: “la natura non opera con l’intervento di molte cose quel che si può fare col mezzo di poche”. Lo pratica l’Impresa: risparmia sulla remunerazione del lavoro, sempre più precario. Se appena può delocalizza, dove i lavoratori sono più sfruttati e costano meno. Inutilmente il Papa ricorda: “Per quanto cambino i sistemi di produzione, la politica non può rinunciare all’obiettivo di ottenere che l’organizzazione di una società assicuri a ogni persona un modo di contribuire con le proprie capacità e il proprio impegno. Infatti, non esiste peggiore povertà di quella che priva del lavoro e della dignità del lavoro”.

C’è una parsimonia che è un valore, in altro modo. Ne ho scritto, sempre venti anni fa, così: “Ho qualche ricordo di sobrietà felice, di una sobrietà cioè in cui ogni desiderio è pienamente appagato. Uno mi giunge preciso da una distanza di molti anni e chili”. Si tratta allora di una camminata in montagna, nella neve, confortata da una sosta. “Mi portano due meravigliose uova al burro – il bordo ha una leggera sfumatura marrone – con una fetta di pane nero e un bicchiere di vino”. È un bel ricordo.

Sempre più brutta e degradata è invece la città in cui vivo e non riesco a considerare mia. Con il voto alle amministrative è stata d’esempio. Ora l’Italia è ferrarizzata, come auspicato 79 anni fa, in tragiche circostanze. Non mi diffondo al riguardo dell’onda nera. Cito solo un tema, del quale mi sono molto interessato in passato. Qualche traccia è pure nel libriccino. Ferrara sarebbe perfetta, per dimensioni e struttura, per non avere automobili. È cosa importante. Come noto il loro abuso rende stupidi e cattivi oltre a colpire, in profondità e malignamente, tutti i nostri sensi. Quanto si è faticosamente raggiuto in passato è distrutto. Non la salute, la socialità, la vita dei cittadini, ma solo la stesa dei tavoli del “frizi e magna” ostacola la presenza delle auto ovunque.

No, da questa condizione non ci toglie il mercato, con la sua mano benefica e invisibile. La vediamo invece. È intenta a uno sporco lavoro di distruzione di risorse, di polarizzazione e divisione della società. Non ci salvano gli anonimi mercati, la finanza. Giraud, gesuita come il papa, il miglior economista – non secondo l’Osservatore Romano, ma le Monde – dice che le maggiori banche europee investono praticamente l’intero budget in fondi legati ai combustibili fossili. Quanto alla politica il ministero alla transizione ecologica è pura spruzzata di verde, green-washing, alla compagine governativa. È pensiero magico poi affidarsi alla virtù taumaturgica della scienza e della tecnologia. Sarebbe come la leggendaria lancia di Longino. Quello che procura la ferita la risana.

Chiamiamo democrazia scegliere, con leggi elettorali truffaldine (figlie di un tentativo fallito nel ’53), i nostri rappresentanti, da mettere al servizio dei nostri oligarchi. Ed è già meglio di quel che avviene altrove.

Ci vuole altro. L’idea e la pratica di una partecipazione dal basso, competente e incisiva si fa sempre più lontana. Né vedo risorse incoraggianti provenire dalla cosiddetta società civile. Sia il sostantivo che l’aggettivo mi sembrano inappropriati. In “Omnicrazia” (il potere di tutti e di ciascuno) Capitini scrive: “L’individuo si trova in gruppi di condizionamenti, che per semplificazione abbiamo ridotto a tre: lo Stato, l’Impresa, la Natura. Egli si sente individuo che lotta là dentro, per migliorare la sua condizione: per esser cittadino con certi diritti garantiti; per essere lavoratore non sfruttato dai proprietari dell’impresa; per mantenere la propria vitalità: tre sforzi continui”. Sono sforzi che restano necessari. Esigono individui consapevoli e desideranti.

Quanto a me, insufficiente è la mia apertura all’esistenza, alla libertà, allo sviluppo degli esseri, pur consapevole che in questa apertura sta l’essenza della nonviolenza. Capitini ripete: “La nonviolenza è il punto della tensione più profonda del sovvertimento di una società inadeguata”. Dice pure: “Veramente tuo è solo il fiore che non cogli”. Mi accontento di meno. Vorrei non esagerare in distruzione, nel tempo che mi resta.

Giuliano Pontara ristampa proprio ora, con importanti aggiunte, “Etica e generazioni future” del ’95. Mi aveva persuaso già allora di un nostro dovere nei loro confronti, nonostante Mark Twain: “Perché sacrificarci per chi verrà, che non ha fatto nulla per noi?”.

Sarà anche perché, a me, le bambine e i bambini piacciono.

 

 

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2923), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948

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