Dante mi riconosce anche con la mascherina, senza che io dica nulla. Alessandro parla del libro e della sua scrittura. La sala del Museo del Risorgimento e della Resistenza è piena. Sollecitato da una domanda Dante prende la parola. È ancora lui. Una vecchia compagna, forse nel ’67, ci accomuna nel suo intervento. Lei ricorda le lotte del primo Novecento, alle quali ha partecipato e ci saluta: Leoni, che è come un leone, e Lugli, con parola che scalda come il sole di luglio! Non chiedo a Dante se ricorda. Mi preciserebbe forse data e nome della compagna.
Il vecchio leone parte dai ricordi familiari, dalla vita a Longastrino, paesino di frontiera, diviso tra Argenta e Alfonsine, tra Ferrara e Ravenna. Bambino in una casa con una sola camera, che contiene le cinque persone della famiglia, poi la residenza nella dépendance di una bella villa, sempre nel paese. Vengono i sei anni in Marina, dal ’39 al ’45, poi l’impegno, nella cooperativa e nel sindacato. Negli anni ’50 è alla Camera del Lavoro di Ravenna. Da lì è chiamato a Roma, sempre nel sindacato, nel 1961. Porta con sé la mamma, Carlotta, socialista libertaria pure lei. Non è contenta: Dou m’hat purté? Non ha trovato nel negozio la Lughesina, suo detersivo di fiducia. Lo fa una cooperativa di Lugo. A Filo, Longastrino, Menate, Sant’Alberto è il più diffuso.
Anche a Dante stare nella capitale non piace, A Roma non sei nessuno. Il trasferimento a Ferrara – sempre con la mamma che gradisce il ritorno in un paese civile, qui la Lughesina si trova – è ben arrivato. Da allora lo conosco. È il 1965. Io sono nel PSI, impegnato contro la prospettata unificazione con i socialdemocratici. Questa avvenuta, con altri compagni di una piccola formazione socialista, lo raggiungo nel PSIUP. Lui quel Partito ha contribuito a fondarlo: è uno dei 123 del Consiglio nazionale. Si può comprendere che l’uscita di scena dello PSIUP – Partito Scomparso In Un Pomeriggio del ’72 – lo induca a non prendere altre tessere di partito. L’unico nome che fa, di dirigente sindacale e politico noto, è a me caro: Vittorio Foa. Io sarò con Foa dopo la fine del PSIUP. Dante rivendica la sua radice bifolca, ma è sempre stato interessato alla cultura e all’arte. Lo ricordo con me nel Comitato di gestione del Teatro comunale, dal ’67 al ’70. Il suo passaggio in Comitato l’ha citato nell’intervento.
Va in pensione presto – per usufruire della pensione da vivo, come si diceva e forse ancora si dice, e i calcoli sull’aspettativa di vita con lui non funzionano – e si sposa. Ha 55 anni. Alla sua età io attendo l’imminente nascita di mia nipote. Dante sa fare le cose bene e con calma. Inizia una vita nuova, in una bella zona verde di Ferrara. Coniuga rilevanti impegni in ambito culturale e di volontariato con la vita di famiglia. Arriva un figlio. L’ho visto piccolissimo: ora lo ritrovo a 44 anni. Vedo all’incontro anche la moglie. L’avevo incontrata subito dopo il matrimonio.
La vita di Dante negli ultimi 40 anni la conosco solo per i riflessi pubblici. Nel suo intervento anche lui ricorda la promozione della So-Crem. Niente a che vedere con attività dolciaria. È la Società di cremazione. Ne è stato a lungo Presidente.
Il suo amore per le arti figurative lo impegna nella realizzazione di un’importante rassegna, “Dieci artisti per Ferrara”, negli anni Ottanta. Ricordo di avere avuto con lui solo incontri a iniziative culturali, di vario genere, e un incontro particolare alla stazione di Argenta. Apprendo di una ricerca che sta completando sul suo paese. Esce infatti nel 2002 un libro, 450 pagine, documentatissimo, Storia di Longastrino In età medioevale e moderna. Un amico comune opera lo scambio con il mio Silvano Balboni era un dono, uscito 15 anni dopo. Hai fatto molta ricerca e scritto un librone, gli dico al termine dell’incontro pubblico. E tu di più, replica. Controllo. Effettivamente le pagine del mio sono 501.
L’incontro ha una conclusione con l’abbraccio di ex marinai. Gli si fanno attorno per consegnargli una targa. È presidente onorario del gruppo di Ferrara dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia. È una targa particolare e non si chiama così. La vedo da lontano. Dante ne dice il nome esatto che non colgo. Non lo chiedo. I marinai chiamano le cose con nomi diversi da quelli degli uomini di terra. Nel mio solo viaggio in barca l’ho sperimentato. Figurarsi gli uomini di mare e militari per giunta. Dante si commuove. Torna il ricordo della guerra e con quello una considerazione: “I morti vanno ricordati. Le vittime. Non le sconfitte o le pretese vittorie. Sto leggendo una documentazione sulla battaglia di capo Matapan. Penso a una ricerca…”.