Testo di Sara Ballardini volontaria di PBI Italia Onlus
Una storia di dolore e coraggio che ci ha messo di fronte alla loro paura e alla loro fatica, ma anche al loro coraggio di rispondere con la nonviolenza a minacce, soprusi, morte. Un’esperienza toccante. Spiazzante…
Yomaira ed Enrique, contadini afrodiscendenti (1), ci parlano con commozione del loro forte legame con la terra e della loro appartenenza alla comunità afrocolombiana. La loro voce non esita neanche un momento nello spiegarci che, essendo contadini afrodiscendenti in Colombia, sono vittime degli interessi delle imprese agroindustriali, che non lasciano spazio alla coltivazione tradizionale della terra. E la violenza (2) è la strategia usata per imporre i megaprogetti.
Yomaira ed Enrique (con altre centinaia di famiglie (3)) hanno preso una posizione chiara: nonviolenza e difesa del territorio.
Sorge spontanea la domanda: “Come siete arrivati a questa scelta? Perché la nonviolenza?” Ma come potrebbe Enrique raccontarci in poche parole gli anni dello sfollamento, le assemblee fino a notte fonda, la ricerca di appoggio internazionale, la costruzione di rete fra comunità, il percorso di formazione con giovani e adulti, i gruppi di donne, le vittime, le minacce e gli attacchi, le diffamazioni, le sentenze giuridiche…? Non ci sono parole sufficienti. Ma la sua risposta risuona chiara: “La nonviolenza è l’unica possibilità reale che abbiamo. Se ci lasciamo provocare e coinvolgere in atti di violenza, daremo la scusa per schiacciarci come zanzare. La nonviolenza ci fa più forti, ci dà una forza diversa da quella che usano imprenditori e paramilitari/militari.”.
Yomaira ed Enrique sono dovuti scappare dalla loro terra, dopo anni di attivismo nelle proprie comunità, e dopo aver denunciato gli assassini dei propri famigliari. In pochi mesi hanno subito sette attentati e decine di minacce e diffamazioni. Entrambi hanno dovuto lasciare il proprio Paese chiedendo rifugio temporaneo in Europa. Nella sofferenza della distanza (e con le minacce che continuano contro le proprie famiglie), hanno deciso di raccontare la loro storia per comunicarci in prima persona quello che succede in Colombia, e per coinvolgerci nella loro resistenza nonviolenta in difesa del territorio.
In Trentino ci hanno invitato a riflettere sui nostri acquisti e sugli investimenti che facciamo (il messaggio di Enrique è chiaro: “Credo non vogliate mangiare banane sporche del nostro sangue”); hanno chiesto di fare pressione sui nostri politici, affinché l’Italia smetta di appoggiare le politiche che violano i diritti umani in Colombia; hanno chiesto di attivarci per chi (come loro) sta subendo attacchi a causa del loro ruolo di leader della resistenza nonviolenta.
E ci hanno invitato ad andare a trovare le loro famiglie, nel Curvaradó (Chocó – Colombia), perché, oltre le parole, è l’esperienza diretta che ci fa capire la straordinarietà della loro scelta.
Come volontaria di Peace Brigades International (PBI), ho camminato a lungo per i sentieri e le strade del Curvaradó e del Jiguamiandó. L’obiettivo della presenza di PBI nella zona è proteggere attivisti come Enrique e Yomaira e permettere loro di portare avanti le proprie rivendicazioni, forti dell’accompagnamento internazionale.
Yomaira ed Enrique ci hanno commosso con le loro parole e i loro volti segnati dalla sofferenza; è una commozione che ci chiede di muoverci, di proseguire, sempre più convinti, nel cammino della nonviolenza, sostenendo le Zone Umanitarie del Curvaradó e Jiguamiandó e i loro leader. Ci chiede di fare rete tra le tante organizzazioni che si occupano di pace e diritti umani (in prima fila nell’organizzare l’incontro con Yomaira e Enrique sono stati il Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani, Operazione Colomba, il Centro di Educazione Permanente alla Pace di Rovereto, Il Gioco degli Specchi, Yaku e PBI Italia Onlus), per rendere la nostra azione più efficace, qua in Trentino come in altre regioni del mondo.
1) Afrocolombiane sono le popolazioni discendenti dagli schiavi deportati dall’Africa durante il colonialismo.
2) A partire dal 1996, nelle zone del Curvaradó e Jiguamiandó, le incursioni e i massacri fatti da paramilitari ed esercito hanno costretto alla fuga le comunità contadine. Con la scusa di combattere la guerriglia, militari e paramilitari hanno attaccato i contadini; chi è sopravvissuto e fuggito (“solo con gli abiti che aveva addosso, abbandonando tutto”, ricordano Yomaira ed Enrique) è rimasto sfollato per anni, in precarietà assoluta. Quando, dopo anni, alcune famiglie sono riuscite a tornare sulle proprie terre, le hanno ritrovate coperte da estese piantagioni di palma da olio, introdotta da impresari (in seguito condannati per collaborazione con i paramilitari). I tribunali hanno dato ragione ai contadini, riconoscendo che la terra gli appartiene e ordinando lo sgombero degli impresari; ma l’occupazione illegale dei territori continua oggi, mentre i contadini che rivendicano la propria terra vengono attaccati con ogni forma di violenza (vari sono stati uccisi, anche recentemente).
3) Enrique e Yomaira appartengono ad una rete di 110 comunità in Colombia, CONPAZ https://comunidadesconpaz.wordpress.com/