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Il fallimento della strategia bellica dichiarata e la nostra falsa coscienza

DiPasquale Pugliese

Ago 29, 2021

Nel confronto a distanza tra Sabino Cassese e Gianfranco Pasquino sulla esportabilità della democrazia, in riferimento al “fallimento della ventennale missione americana in Afghanistan” (Cassese) credo ci siano almeno due punti deboli che inficiano le rispettive argomentazioni. Il primo è che si tratta di un mero confronto accademico, seppur sviluppato sui quotidiani, senza alcun riferimento alla realtà concreta, perché – se in vent’anni non fosse stato sufficientemente chiaro – lo stesso presidente Biden lo scorso 17 agosto, annunciando l’imminente ritiro delle truppe di occupazione USA, si è incaricato di chiarire definitivamente l’obiettivo della guerra afghana: “lo state-bulding non è mai stato l’obiettivo della nostra missione nel Paese, che era centrata su attività di anti-terrorismo e non sulla creazione di una democrazia”. Il secondo punto debole – volendo rimanere nell’esercizio retorico di Cassese e Pasquino, che ignora la realtà dei fatti come illustrati anche dal presidente Biden – è dato dall’assenza di una riflessione sul rapporto tra mezzi e fini: ossia, in generale, il tema vero da affrontare non è tanto quello legato alla legittimità o meno di esportare in astratto la democrazia e i suoi valori, ma se questo fine possa essere raggiunto attraverso il concretissimo e devastante mezzo della guerra. E’ di questo che si tratta.

In verità, come hanno dimostrato anche gli attentati all’aeroporto di Kabul di questi giorni, la guerra non è stata efficace neanche nella mera “attività anti-terrorismo” indicata dal presidente Biden. Anzi le quasi 200 vittime dell’ultimo attacco a Kabul si aggiungono alle centinaia di migliaia di vittime del terrorismo in tutto il mondo nei vent’anni di guerra globale al…terrorismo, avviata con l’aggressione militare all’Afghanistan nel 2001 da parte degli USA e dei suoi seguaci per rispondere all’attentato a New York. Il terrorismo della guerra solo non ha fermato ma ha potenziato la guerra del terrorismo. La violenza bellica, che si è fatta terrorismo, non ha fermato ma ha generato ed alimentato la violenza terroristica, che si è fatta guerra. Quindi non solo la “guerra permanente” non è servita ad esportare e costruire alcuna democrazia – né in Afghanistan, né in Iraq, né in Libia, né da ness’unaltra parte – ma è stata contro-produttiva anche rispetto all’obiettivo minimo di combattere quel terrorismo che invece si è moltiplicato ed ha colpito ovunque, come registra anno dopo anno il Global Terrorism Index. E’ il fallimento completo di una strategia folle, anche rispetto agli obiettivi dichiarati.

Se la guerra non è – e non poteva essere – lo strumento per combattere il terrorismo, naturalmente ancora meno poteva essere il mezzo per esportare ed imporre la democrazia, che è invece una costruzione civile e culturale che necessita della progressiva e persuasa adesione ai suoi valori (altrimenti perché non invadere militarmente, per esempio, anche la monarchia assoluta dell’alleata Arabia Saudita, dove la condizione di oppressione delle donne è assoluta?). Anzi – al contrario – la guerra è lo strumento preparato da quel “complesso militare-industriale” che ha come proprio obiettivo specifico alimentare se stesso fino a mettere perfino “in pericolo le nostre libertà o processi democratici”, come avvertiva seriamente il presidente Eisenhower nel discorso di addio alla nazione, mettendo “all’erta” gli USA sul conflitto “tra l’enorme macchina industriale e militare di difesa ed i nostri metodi pacifici ed obiettivi a lungo termine”. Ed Eisenhower – comandante in capo delle forze Alleate nel Mediterraneo ed in Europa durante la seconda guerra mondiale – era uno che di eserciti ed armamenti se ne intendeva. La verità, ancora una volta, dunque, è che – nonostante i fiumi di retorica di questi anni e di questi giorni – questi venti anni di guerra non sono serviti a nessuno degli obiettivi più o meno dichiarati, ma solo a riversare migliaia di miliardi nelle casse dell’industria bellica internazionale. Che hanno prodotto sangue, terrore e caos, in un prevedibile – e previsto, come abbiamo spiegato qui – crescendo di follia collettiva.

Infine – mentre i media internazionali sono meritoriamente centrati a raccogliere le drammatiche immagini e testimonianze dell’aeroporto di Kabul – è opportuno ricordare che il Rapporto dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati dello scorso giugno ha comunicato che il numero di persone in fuga da guerre e persecuzioni in tutto il mondo nel 2020 ha superato gli 82 milioni, un numero pari a più del doppio di quello registrato dieci anni fa e aumentato di 3 milioni rispetto all’anno precedente. Quindi sarebbe opportuno che agenzie, giornali e televisioni, allargassero l’obiettivo anche sui profughi per i quali – invece di organizzare ponti aerei – gli stessi governi che fanno le guerre, delle quali i profughi i drammatici sono “effetti collaterali”, tutti i giorni alzano muri, fili spinati, lager ed onde del mare. Lontani dalle telecamere e dalla nostra coscienza.

Falsa coscienza, per lo più

[L’immagine è della street artist afghana Shamsia Hassani]

Di Pasquale Pugliese

Pasquale Pugliese, nato a Tropea, vive e lavora a Reggio Emilia. Di formazione filosofica, si occupa di educazione, formazione e politiche giovanili. Impegnato per il disarmo, militare e culturale, è stato segretario nazionale del Movimento Nonviolento fino al 2019. Cura diversi blog ed è autore di “Introduzione alla filosofia della nonviolenza di Aldo Capitini” e "Disarmare il virus della violenza" (entrambi per le edizioni goWare, ordinabili in libreria oppure acquistabili sulle piattaforme on line).

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