Dalla nascita del GAN, nell’autunno del ’63, all’approvazione della prima legge sull’obiezione di coscienza, dicembre ’72, ci sono dieci anni di lotte nonviolente. Daniele Lugli ne ha raccontato gli aspetti preminenti nell’intervista raccolta da Elena Buccoliero il 15 febbraio 2020.
Se la settimana scorsa ci ha parlato soprattutto dei mutamenti interni al mondo cattolico, qui ricorda l’influenza del Partito Radicale. Quando si arriva alla legge, l’obiezione di coscienza al servizio militare è ormai un tema collettivo, che non ha perso lo spirito originario di rifiuto della guerra portato da Pietro Pinna. In questo senso il GAN è stato un innesco.
Io ricordo, allora, avevo verso lo Stato una posizione assolutamente minoritaria, che infatti non portammo fuori, ma che era la mia: Voi non potete condannare per diserzione o per disobbedienza chi vuol fare obiezione di coscienza. Condannatelo per obiezione di coscienza e dite cosa costa obiettare di coscienza in Italia. È l’ergastolo? Son vent’anni? Son dieci, son cinque, son quattro? Abbiate il coraggio di dirlo. Lo Stato deve capire che ha di fronte persone che non sono dei disobbedienti perché quel giorno gli girava così, ma persone disposte a fare altro, senz’armi.
Come Pietro Pinna.
Eh, sì. Al processo Piero lo disse, “Non ho nessuna intenzione di imboscarmi, è una scelta faticosa quella che ho fatto”. Era andato al corso allievi ufficiali per mandare qualche soldo a casa, poi subito dopo il giuramento non se l’è sentita di continuare e ha detto: “Io sono disposto, ricevendo la formazione adeguata, a occuparmi di mettere in sicurezza le mine che sono sparse in Italia e le bombe inesplose”.
Questo mi ha sempre colpito. Mi torna in mente quando si parla di bombe inesplose, o di mine, nei Balcani e in altri paesi, anche vicino a noi. Era una realtà quotidiana, in Italia, nell’immediato dopoguerra. Io ho amici ai quali sono saltate le braccia, non nei bombardamenti ma perché sono andati a toccare delle mine, bombe inesplose. Era usuale. In tutte le scuole elementari c’erano cartelloni con i disegni delle mine e sopra detto: “Non toccare”.
A pensarci adesso impressiona.
Eh, ma sai… Era una cosa molto vicina, la guerra. Chi c’era stato dentro come Piero Pinna, ha tratto da questo la spinta al rifiuto. È uno dei motivi sostanziosi e sostanziali per i quali è andato a collaborare con Capitini.
E ai partiti come siete arrivati?
Attraverso tutte le collaborazioni che Capitini aveva costruito durante l’antifascismo, come liberalsocialista, che andavano dal Partito d’Azione al Partito Socialista, al Partito Repubblicano… Capitini aveva sempre mantenuto la sua rete. Pinna la ripercorre dicendo: allora chi ci sta sull’obiezione di coscienza? E su questo i più sensibili sono i Radicali.
Che cosa attrae i Radicali, e che cosa portano i Radicali?
Beh. Intanto, portano meglio tra di loro un pensiero non spregevole, che è quello di liberali di sinistra, in cui c’è l’idea che l’individuo è importante, non puoi mai sacrificarlo per un’ideologia. E portano una capacità di influenzare l’opinione pubblica con ampie campagne, cosa che noi non avevamo, in cinque o sei che siam partiti, e neanche Capitini, in tanti, infiniti anni di attività.
Perché no?
Capitini non era cattolico, ma non era neanche cristiano, non era neanche… Era capitiniano, e per lui tutti quanti dovevano non capitinizzarsi, ma lugliarsi… cioè ognuno doveva avere il suo percorso religioso. E doveva avercelo, se no qualcosa gli sarebbe mancato. Io non l’ho mai molto seguito su questo, però, in lui era molto presente la tensione religiosa. Comunque i cattolici di allora fanno fatica a riconoscersi in lui, è più facile che si accostino a don Milani o a padre Balducci. I comunisti, neanche. Perché Capitini era sempre stato molto critico nei confronti dell’esperienza dell’Unione Sovietica.
I Radicali invece…
I Radicali erano spregiudicati, cioè capaci, su un singolo obiettivo, di far convergere tutti quelli che erano d’accordo. Quindi anche, bene o male, di proporsi per le elezioni al Parlamento.
Capitini aveva rifiutato l’Assemblea Costituente pensando ci fosse tanto lavoro da fare fuori: gli altri non lo fanno, lo devo io. Era una modalità diversa. E d’altro canto, il nostro amico Piero Pinna non ha voluto candidarsi come senatore per il Partito Radicale. Avrebbe fatto bene ad accettare. Sarebbe stato un bravo senatore, e avrebbe fatto una vita un po’ meno tirata, però non sarebbe stato Piero Pinna probabilmente.
I radicali portano una capacità di muoversi nell’ambito politico più disinvolta di noi e anche più efficace. Un parlamentare, Ciccio Messere, fa obiezione di coscienza e mette in moto meccanismi che hanno un impatto diverso da quello che può avere avuto Gozzini, persona splendida, o Fabbrini. Quando si arriva alla prima legge sull’obiezione di coscienza, il peso dei radicali c’è.
Pannella era con voi, sì.
Beh, sì, questo sì. Anche in War Resisters’ International. Anche nel ’66, quando facciamo la seconda marcia specifica a Roma contro la guerra e gli eserciti. È presente anche Joan Baez, e c’è Pannella tra i relatori. Alla prima marcia no, i Radicali vengono ma non intervengono, parla Capitini e un suo amico professore. E il posto dove andiamo è il cippo di Matteotti, ecco un’altra figura per me importante, che mi ricongiungeva alle mie opzioni socialiste. Il fatto che Capitini, quando elencava i suoi riferimenti, dicesse: San Francesco, Gandhi, Matteotti… Buddha…
Il Gan finisce, quando, come?
L’ultima manifestazione del GAN come tale è quella di Roma, quando la questura dice che non è autorizzata ma è tollerata. Dopo ci sono altre cose. Ci sono le marce antimilitariste; cominciano le proposte in parlamento per una legge per l’obiezione di coscienza, quindi si fanno manifestazioni a sostegno. Ci sono, non più il GAN, ma obiettori di coscienza che decidono di costituirsi: “È inutile che mi chiamiate, vengo direttamente, arrestatemi”. Ci vanno in collettivo, piccoli gruppi invece che singoli, sono forme incisive rispetto all’opinione pubblica.
Il Gan è stato un innesco. Anche perché cambiano le manifestazioni: tra il ’66 e il ’72 c’è il ’68, il movimento studentesco, le lotte operaie… Se io facevo qualcosa allora, era andare nelle fabbriche occupate. Certo… non ho mai abbandonato il terreno della nonviolenza.
(Il ritratto che affianca Giacomo Matteotti e Daniele Lugli è di Miriam Cariani)