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Il Movimento Nonviolento ricorda Gianni Rodari nel Centenario della nascita

DiRedazione

Ott 23, 2020

Il 23 ottobre di cent’anni fa nasceva Gianni Rodari, scrittore per bambini ma anche maestro, giornalista, pedagogo, intellettuale impegnato per la pace. La piccola aggiunta del Movimento Nonviolento alle grandi celebrazioni che si stanno svolgendo si è concretizzata in alcuni eventi dedicati a Rodari dei nostri centri territoriali e in particolare una rubrica “rodariana” su Azione nonviolenta alla quale partecipano voci come Vanessa Roghi, Daniele Lugli, Donatella Di Cesare, Enrico de Angelis e altri fino a fine anno.

Un dialogo corale per comprendere meglio la forza della fantasia e l’eredità di Rodari per la costruzione di società “a misura di bambino” perché più giuste, sostenibili, pacifiche. Riproponiamo qui la Rodariana/1 pubblicata sul numero gennaio-febbraio di Azione nonviolenta.

Fare pace con la fantasia, per liberarci dai mali della realtà

di Daniele Lugli

Gianni Rodari è per me legato a persone amate, a letture care, a Cipollino e Pinocchio, alle immagini di Raul Verdini, al commento del film sulla Perugia-Assisi.

Cipollino appare nel ’51 su Pioniere (poi Il Pioniere): “Cipollino, Cipollino, sguardo furbo e birichino è davvero un monellino! Sempre allegro e sorridente, non sopporta il prepotente. Altruista e generoso aiuta sempre il bisognoso. Il principe Limone combatterà, per ridare a tutti la libertà”. Non lo leggo allora. Qualche volta vedo Il Pioniere nelle mani di amici di famiglia comunista. In parrocchia, invece, Il Vittorioso, con le strepitose vignette di Jacovitti. Sono troppo grande per continuare a fare le elementari. Faccio l’esame di ammissione alle medie dopo la quarta. Le mie letture debbono adeguarsi alla nuova condizione. Il personaggio di Rodari illustrato da Verdini conosce nel frattempo un grande successo. Diventa un libro, con più edizioni, un film d’animazione, uno spettacolo teatrale.

Incontro Cipollino, venti anni dopo l’apparizione sul Pioniere, in una colonia montana, nella quale sono state compiute profonde riforme su iniziativa di mia moglie. Io allora sono assessore alla P.I. al Comune di Ferrara. Sono lì anche con mia figlia, di 4 anni.  Lo spettacolo, con maschere, sarà replicato dai bambini che le costruiranno con i loro educatori. Il ritornello “Cipollino e il suo papà, libertà, libertà!” ripetuto in coro dalle bambine e dai bambini (centinaia!) diventa quasi l’inno della colonia.  La lettura delle avventure di Cipollino, della sua lotta per la libertà, strenua e buffa, contro il privilegio e la perfidia del principe Limone e del cavaliere Pomodoro, sono da allora una piacevole consuetudine per mia figlia e me.

Passano trenta anni. Ora è la figlia di mia figlia ad avere 4 anni. La lettura che preferisce, finché non sarà in grado di leggerla da sola, è La filastrocca di Pinocchio. Ne impara varie parti a memoria: “Qui comincia, aprite l’occhio, l’avventura di Pinocchio, burattino famosissimo per il naso arcilunghissimo. Lo intagliò Mastro Geppetto, falegname di concetto…”. Uscita sul Pioniere nel ’54-’55 è diventato un bel libro non indegno dell’originale.

Più o meno nello stesso periodo ritrovo tra le cose di Capitini una copia del film girato alla marcia Perugia Assisi. Il commento di Rodari si ascolta con commozione:

Assisi, 24 settembre 1961: 700 anni sono passati da quando il più umile e il più grande figlio dell’Umbria, Francesco, lanciava da questi colli, all’Italia e al mondo, il suo messaggio di umana fratellanza, di amore per la vita e le sue creature. Nel secolo dei satelliti artificiali e della bomba all’idrogeno, una folla diversa si raccoglie all’ombra dell’antica rocca per ascoltare un nuovo messaggio di pace; è la stessa folla che oggi, domenica, riempie gli stadi o si sgrana lenta all’ora del passeggio cittadino. Ma su di essa piovono tristi e solenni le parole che il poeta turco Nazim Hikmet ha scritto in memoria delle 70 mila vittime di Hiroshima, di una bambina giapponese che vive ormai solo in quei versi: ‘Avevo dei lucenti capelli: il fuoco li ha strinati, avevo dei begli occhi limpidi: il fuoco li ha spenti, un pugno di cenere: quello son io, poi venne il vento e ha disperso la cenere’.

Si conclude ad Assisi, poco prima del tramonto, la Marcia della Fratellanza e della Pace: venti, trentamila persone sono partite stamattina da Perugia; hanno percorso a piedi i lunghi e faticosi chilometri che separano il capoluogo dell’Umbria verde dalla città di san Francesco, solo per dire all’Italia e al mondo, in questa penultima ora del giorno: ‘Vogliamo vivere, vogliamo che il mondo viva, vogliamo che da un continente all’altro le mani si stringano’. Il professor Aldo Capitini, che ha ideato e organizzato la marcia, in collaborazione con associazioni democratiche, sindacati e uomini di cultura prende la parola per primo: “Questa marcia – egli dice – era necessaria ed altre marce saranno necessarie nel nostro e negli altri paesi, per porre fine ai pericoli della guerra, per liberare i popoli dai mali dell’imperialismo, del colonialismo, del razzismo, dello sfruttamento economico…

Abbiamo dunque in sequenza l’impegno alla liberazione dall’oppressione, dalla menzogna, dalla guerra. Libertà e pace le troviamo nella storia di un giovane che ricorda Cipollino:

“O fattorino in bicicletta dove corri con tanta fretta?”

“Corro a portare una lettera espresso arrivata proprio adesso”.

“O fattorino, corri diritto, nell’espresso cosa c’è scritto?”

“C’è scritto – Mamma non stare in pena se non rientro per cena, in prigione mi hanno messo perché sui muri ho scritto col gesso. Con un pezzetto di gesso in mano ho scritto sui muri della città Vogliamo pace e libertà. Ma di una cosa mi rammento, che sull’a non ho messo l’accento. Perciò ti prego per favore, va’ tu a correggere quell’errore, e un’altra volta, mammina mia, studierò meglio l’ortografia”.

Possiamo farcela, ci rassicura Rodari in Don Chisciotte: In cuore abbiamo tutti un Cavaliere pieno di coraggio, pronto a rimettersi sempre in viaggio”.  È un impegno che ci viene dai bambini e anche a loro può essere chiesto: “Bambini, imparate a fare cose difficili. È difficile fare le cose difficili: parlare al sordo, mostrare la rosa al cieco. Bambini, imparate a fare cose difficili: dare la mano al cieco, cantare per il sordo, liberare gli schiavi che si credono liberi”. Intanto bisogna che da piccoli siano liberi dalle bugie. Bene si dice in Mi ha fatto la mia mamma. La cantava, con altre e belle, Sergio Endrigo. È difficile liberarci dalle menzogne che ci appestano: “Nel paese della bugia, la verità è una malattia”.

Credo che Rodari, come Capitini e Dolci, fosse convinto del ruolo del fanciullo nella liberazione dell’uomo e che “solo accompagnati dai bambini entreremo nella realtà liberata”, se questa è pensabile. Non so se sia arrivato a condividere anche un’altra opinione di Capitini, “Si è visto che voler fare il socialismo dall’alto conduce all’autoritarismo tirannico”. Certo scrive: “Fu cambiato l’ordine degli anelli, ma la catena rimase una catena”. Sul rifiuto più fermo della guerra non ci potrebbe essere concordanza maggiore. Per Aldo: “il rifiuto della guerra è la condizione preliminare per un nuovo orientamento”. Per Gianni: “Ci sono cose da non fare mai, né di giorno, né di notte, né per mare, né per terra: per esempio la guerra”.

 

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