Farà soffrire gli adulti e sarà uno specchio per tanti bambini “Il patto del silenzio”, film belga presentato a Cannes nel 2021 che verrà programmato a breve nelle sale italiane. Il film è in francese sottotitolato in italiano, distribuito da Wanted Cinema, e merita grande attenzione e per il suo valore artistico, e per il rispetto e la verità con cui si accosta al mondo dell’infanzia. Parla di bullismo con un linguaggio denso di sofferenza non per la durezza della violenza, che viene mostrata appena e con molto pudore, ma per l’intensità delle emozioni di chi la vive come vittima o spettatore, emozioni che invece non ci vengono risparmiate e ci investono pienamente.
La regista Laura Wandel ha raccontato che durante il casting Maya Vanderbeque, la bambina di 7 anni che interpreta il ruolo di Nora, la protagonista, ha affermato: “Voglio mettere in questo film tutta la mia forza”. Lo ha fatto davvero, con un’espressività toccante affidata agli sguardi e ai gesti più che alle parole, ai rossori e ai fremiti, alle lacrime trattenute. Bravo è anche Günter Duret nei panni del fratello maggiore Abel, un personaggio meno trasparente sul piano emotivo – è più grande, è un maschio – ma saturo di rabbia trattenuta.
La regista ha lavorato con loro e con gli altri bambini del cast per mesi prima di iniziare le riprese, componendo e scomponendo i gruppi, svolgendo attività che li aggregassero e li preparassero in modo che recitare diventasse poi molto naturale. Con la protagonista ha stretto un rapporto speciale vivendo esperienze importanti insieme, ad esempio insegnandole a nuotare.
Il film è ambientato in una scuola primaria. Per Nora è il primo giorno: è intimorita, non ha amici, per inserirsi conta sull’appoggio di Abel, più grande di lei di un paio d’anni, e a ogni intervallo ne ricerca la compagnia. La realtà si rivela molto diversa dalle aspettative. In cortile Abel l’allontana, “Vattene stiamo picchiando i nuovi”, le intima, per proteggerla da un eventuale coinvolgimento, ma in breve Nora dovrà scoprire che proprio il suo amatissimo fratello maggiore è la vittima designata di un gruppo di grandi che infierisce su di lui con aggressioni programmate, e con umiliazioni ancor più difficili da digerire.
Le prepotenze si succedono giorno dopo giorno e Nora ne è spettatrice, divisa tra l’urgenza di aiutarlo e il bisogno di trovare una propria collocazione nel nuovo mondo che è la scuola, dove si misura con coetanee già capaci di allacciarsi le scarpe o che non hanno paura sull’asse di equilibrio. Divisa, anche, tra il desiderio di dire tutto alle insegnanti, o al papà che ogni giorno li accompagna a scuola e li accudisce teneramente – mentre non si hanno notizie della mamma, assente – e il “patto del silenzio” che Abel le impone, temendo che l’intervento degli adulti scateni contro di lui vessazioni peggiori.
Anche il clima tra le alunne non è dei migliori e rispecchia fedelmente quel che spesso accade nei gruppi femminili, tra predilezioni ed esclusioni, con una ferocia diversa da quella, fisica, che si gioca tra i maschi in cortile.
Proprio “Playground”, “cortile”, è il titolo originale del film, ed è evidente a qualsiasi spettatore che, per Nora, imparare a scrivere correttamente è cosa di poca importanza. Quale attenzione in classe si può pretendere da lei, dopo che ha visto Abel trattato in quel modo? Qualunque spettatore può capirlo, immerso completamente nella dimensione dell’infanzia anche grazie alle riprese. La Wandel ha raccontato di averle girate con un operatore imbragato con una telecamera posizionata all’altezza degli occhi di Nora, sicché ci sono passaggi in cui gli adulti compaiono dalla cintura in giù, ad esempio quando girano tra i banchi, e si mostrano solo se si chinano ad altezza di bambino.
Nora porta in scena con tutta la sua forza il bisogno di essere rispettati, di trovare ascolto, di non avere paura, di esistere nella mente degli altri. “Ognuno cresce solo se sognato”, scrive Danilo Dolci, e i piccoli protagonisti del “Patto del silenzio” devono cavarsela da soli perché esistono ben poco nei sogni dei grandi (a parte qualche eccezione), adulti disattenti non si sa se per disinteresse, sovraccarico o impotenza.
Nel complesso, come in tante storie di bullismo, questi adulti quasi non entrano nel mondo dei bambini, non pongono attenzione alle loro timide richieste di aiuto che diventerebbero confidenze se solo gli alunni intuissero in loro un vero interesse. Nora sperimenta questa accoglienza con il padre e con un’insegnante che però, poco tempo dopo, deve trasferirsi in un’altra scuola.
“Perché non intervenite?”, le chiede Nora dopo un fatto peggiore del solito. “Perché non sappiamo cosa fare”, ammette la donna, ed è uno dei momenti più irritanti del film. Qualsiasi docente degno di questo nome deve almeno fare lo sforzo di capire quello che sta succedendo e rinunciare alle proprie visioni patinate per attraversare l’indignazione che è necessaria, quando la violenza sul debole diventa il criterio ordinatore delle relazioni tra pari. Senza questa partecipazione emotiva alle esperienze dei bambini di cui hanno scelto di occuparsi, anche le punizioni dopo gli episodi più gravi oppure inferte a casaccio, a chi si distrae per ultimo e viene pizzicato, o per un comportamento oscuro e perciò sanzionato invece che approfondito, sono solo un altro livello di ingiustizia o, proprio, di prevaricazione, questa volta istituzionale.
In un clima che non accenna a rasserenarsi Abel e Nora cercano una loro strategia di sopravvivenza. Vanno a tentoni insieme e separatamente e di nuovo insieme, rischiando anche di allontanarsi, di farsi del male. Messa alle strette, però, sarà Nora a compiere il gesto decisivo, spinta dalla compassione e da un profondo rifiuto della violenza. Protegge in questo modo se stessa e anche Abel e forse, ce lo auguriamo, insieme contribuiranno a trasformare gli equilibri del cortile.