• 18 Dicembre 2024 17:54

Il pugno di Bergoglio

DiMao Valpiana

Gen 19, 2015

L’esegesi di un testo comincia dal contesto. In questo caso si tratta di un dialogo con i giornalisti, durante un lungo viaggio aereo. Dunque non una frase inserita in un’Omelia, o in un discorso ufficiale dal soglio di San Pietro, o in un’Enciclica, ma poco più che una chiacchierata. Un contesto “laico”, come spesso ci ha abituati Papa Francesco, avvallando l’idea che il suo pensiero personale va disgiunto da quello della Dottrina.

Si sta parlando dei tragici fatti di Parigi, della strage alla redazione di Charlie Hebdo, della libertà di espressione e di satira anche sulla religione. La frase incriminata testualmente dice:

“… è vero che non si può reagire violentemente… ma se il dottor Gasparri, grande amico, dice una parolaccia contro la mia mamma… ma gli aspetta un pugno… è normale … non si può provocare, non si può insultare la fede degli altri …”.

Una reazione forte, di rabbia, per un torto subito. Il Papa non dice che bisogna fare così, che è giusto, dice solo che è normale reagire così, che è umano.

D’altra parte proprio nel Vangelo di Giovanni si racconta dell’ira di Gesù a Gerusalemme, che andò oltre il pugno, usando la frusta:

Trovò nel tempio i venditori di buoi, di pecore e di colombe e i cambiavalute seduti, e fattasi una frusta di funicelle scacciò tutti dal tempio, anche le pecore e i buoi, disseminò il denaro dei cambiavalute, rovesciò i banchi e disse ai venditori di colombe: «Portate via questa roba di qui e non fate della casa del Padre mio una casa di mercato”. Una reazione forte, fortissima, per protestare contro la profanazione del Tempio, cioè della fede.

Questo episodio di violenta reazione di Gesù, trovò l’ammirazione perfino di Gandhi. Lo racconta lui stesso, e spiega il perchè:

Buddha portò coraggiosamente la guerra nel campo nemico e mise in ginocchio il clero arrogante. Gesù scacciò i cambiavalute dal tempio e invocò la maledizione del cielo su ipocriti e farisei. Entrambi propugnarono un’azione intensamente diretta. Ma anche quando Buddha e Cristo punirono, in ogni loro atto manifestarono una dolcezza e un amore inequivocabili”.

E’ lo spirito d’amore con il quale si compie il gesto, che definisce la bontà o meno del gesto stesso. Gandhi lo spiega anche con un altro esempio calzante, questa volta prendendo a campione lo schiaffo:

in una famiglia, quando il padre dà uno schiaffo al figlio colpevole, questi non pensa di rendere la pariglia. Ubbidisce a suo padre non per l’effetto dissuasivo dello schiaffo, ma per l’amore offeso che vi intuisce. Questa secondo me è un’epitome del modo in cui la società è o dovrebbe essere governata. Quello che è vero della famiglia, deve essere vero della società, la quale non è che una famiglia più grande”.

Sento, in questi racconti e parabole di Gesù e Gandhi, una grande libertà interiore, tenerezza e compassione per l’umanità, al di là di norme e regole, di moralismi e dogmi. La nonviolenza del Vangelo scardina ogni fondamentalismo che assolutizza la Legge. Ciò che davvero conta è solo l’amore, la “carità” direbbe San Paolo (“la carità è paziente, è benigna la carità; la carità non invidia, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, ma si compiace della verità; tutto tollera, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”).

E dunque con questo metro di giudizio una parola può essere violenta se detta senza carità, e un pugno può essere amorevole se mosso da carità (pensiamo alle famose “cinghiate” date da don Lorenzo Milani ai suoi amatissimi figlioli di Barbiana).

Sto rischiando la blasfemia nonviolenta?

Il punto è stabilire un limite. Ma chi può e dove si può stabilire il limite dell’astensione dalla violenza? La stessa domanda se l’è posta Gandhi, che si è dato questa lungimirante ed illuminante risposta:

Il limite non può essere lo stesso per tutti. Infatti, benchè il principio sia essenzialmente il medesimo, tuttavia ciascuno o ciascuna lo applica a suo modo. Quello che è cibo di uno, può essere veleno per un altro. Mangiare carne per me è peccato. Ma per un’altra persona che è sempre vissuta di carne e non vi ha mai visto nulla di male, sarebbe peccato rinunciarvi semplicemente per imitarmi. Se voglio fare l’agricoltore e vivo nella giungla, dovrò usare un minimo inevitabile di violenza per proteggere i miei campi. Dovrò uccidere scimmie, uccelli e insetti che divorano il mio raccolto. Permettere in nome della nonviolenza che che i raccolti vengano divorati dagli animali mentre nel Paese c’è la carestia, è peccato. Il bene e il male sono termini relativi. L’uomo non deve annegare nel pozzo delle shastra (regole), ma tuffarsi nel vasto oceano e trarne perle. A ogni passo usare il suo discernimento per stabilire che cosa sia ahisma (nonviolenza) o hisma (violenza)”.

Sono grandi insegnamenti di laicità, che ci vengono proprio da chi ha vissuto fino in fondo una fede profonda nell’umanità. Gandhi ha sempre lottato contro i fondamentalismi. Ha combattuto il fondamentalismo islamico, è morto per mano di un fondamentalista della sua stessa fede Indù, e ci ha messi anche in guardia dal fondamentalismo nonviolento (rischio sempre possibile).

Dunque libertà e laicità, che sono l’esatto contrario di oscurantismo e clericalismo, sono valori vissuti con profonda fede da chi sperimenta fino in fondo la condizione umana, aperta a tutti; e proprio per questo agisce senza nascondere i limiti della propria umanità.

Proseguendo il dialogo con i giornalisti Papa Francesco, o meglio Jorge Mario Bergoglio, ha confessato un’altra propria debolezza, in relazione alla possibilità di attentati alla sua persona: “Ho paura? Alcune volte mi sono chiesto: ma se accadesse a me questo? E ho detto al Signore: ti chiedo solo una grazia, che non mi faccia male perché non sono coraggioso di fronte al dolore, sono molto timoroso. So che sono nelle mani di Dio ma so anche che si prendono delle misure di sicurezza prudenti ma efficaci. Per il resto: speriamo!”. Ci possiamo riconoscere tutti in questa candida fragilità. Il coraggio non è non avere paura, ma avere paura e andare avanti lo stesso.

Ecco, il pugno di Bergoglio, dato con tenerezza, mi appare come un paradosso per affermare che la nonviolenza è davvero “forza e amore ”, accessibile a tutti, con i nostri limiti e contraddizioni.

Mi sia concesso di concludere questo scritto con la leggerezza che viene dal senso umoristico che mai dobbiamo perdere (siamo partiti da Charlie Hebdo). Come nei temi delle scuole medie chiudo con la citazione di una canzone di Adriano Celentano: “… e quando mezzanotte viene / se davvero mi vuoi bene / pensami mezz’ora almeno / e dal pugno chiuso / una carezza nascerà”.

* giornalista, direttore di “Azione nonviolenta”

Di Mao Valpiana

Presidente del Movimento Nonviolento e direttore della rivista Azione nonviolenta

7 commenti su “Il pugno di Bergoglio”
  1. Penso che il problema non sia tanto la legittimazione della violenza, lo stabilire una frontiera tra violenza e nonviolenza, quanto la legittimazione del processo di escalation della violenza. La nonviolenza va certamente verso la riduzione della violenza complessiva, oppure è stoltezza. Fermare una violenza con una violenza maggiore è repressione e sappiamo che la repressione violenta non fa che rimandare, non molto a lungo, nuove e maggiori violenze.
    Secondo la teoria dell’escalation potremmo fermare l’Isis con piccole bombe nucleari “tattiche”, gli USA e non solo loro ne hanno spesso minacciato l’utilizzo in altri “teatri”, quindi la teoria lo ammette. E se anche l’avversario avesse delle armi di qualità simile pur se di potenza non paragonabile?
    Ha descritto la “normalità” di una reazione di gravità maggiore rispetto all’offesa ricevuta, almeno secondo gli ordinamenti penali di, penso, tutto il mondo, compreso il vaticano, perchè la prima solo verbale e la seconda, invece, diretta contro l’integrità fisica.
    Una normalità in ogni caso eccezionale perchè chi parlava era il papa, negli abituali abiti diciamo, da lavoro nella vigna del Signore, e non Jorge Bergoglio nel salotto del suo appartamento con amici, parenti e ospiti vari. Infatti è stato visto in tutto il mondo, anche, credo nelle favelas, dove gode di grandissima popolarità, a quanto sento dire, e dove c’è una violenza ed una presenza di armi da fuoco a dir poco spaventosa.
    Il Papa non ha parlato di “un banale comune errore da non fare”, ha detto invece “è normale, anche io, il papa, farei così, perfino se fosse il mio caro amico gasbarri a provocarmi”, ma non ha aggiunto che è sbagliatissimo, che dopo dovrebbe pentirsi e rimediare al danno provocato.
    Non ha quindi condannato l’escalation, mentre l’escalation è fonte solo di guerra, strumento del male, nemica della nonviolenza.
    E poi, cosa raccontiamo ai ragazzini che girano col coltello o la pistola in tasca se gli insegniamo che se uno ti offende la mamma lo devi prendere a pugni? E se quello che ti offende la mamma è più grosso, che fai?
    Sottolineo che questa non è una critica a Jorge Bergoglio o a papa Francesco, ma una ferma condanna della legittimazione dell’escalation violenta, in quanto Cristo si sacrificò anche per salvare i suoi discepoli e seguaci e i romani e gli ebrei che lo volevano uccidere.
    Questo atto d’amore, considerato puro e perfetto anche da Gandhi, è la stella polare delle azioni di ogni cristiano. Tutti i viventi cercano normalmente di evitare il dolore, questo sì che è normale, ma nonostante la paura del dolore, il solco che la Croce ha lasciato sul terreno è il segno che ogni seguace di Cristo spera di trovare sulla sua via per essere certo di essere sulla giusta strada.
    Io credo che possiamo stare tranquilli, non è per questa affermazione sul pugno che papa Francesco potrebbe subire un attentato, forse avrebbe corso il rischio di essere ucciso se avesse detto che…(io ci tengo alla pelle, chiedetelo a lui 😀 )

    Sul discorso circa la cinghia, gli allievi e don Milani dissento totalmente, se don Milani usava la cinghia per punire i suoi allievi questa è solo la prova che anche i santi, così come pure Gandhi, che se lo diceva da solo, sbagliano frequentemente. Picchiare i più deboli o chi si trova psicologicamente in una condizione di sottomissione pur essendo fisicamente più forte, per di più per educarli, non solo è atto indegno ma pure sensa senso.

    1. D’accordo con Luciano. “E poi, cosa raccontiamo ai ragazzini che girano col coltello o la pistola in tasca se gli insegniamo che se uno ti offende la mamma lo devi prendere a pugni?”

  2. Articolo lungo, noioso e totalmente inutile. La domanda che sorge spontanea è: perché dobbiam giustificare il papa a tutti i costi?! A ben vedere vi è una “giustificazione” per la frase del sommo pontefice e questa è che lui, essendo un essere “umano” come altri, sbaglia…
    Rispondere con un pugno ad un’offesa verbale è il tipico atto che provoca una escalation di violenza. Non c’è altro da aggiungere sennonché chiarire che il papa, per la sua carica istituzionale, non dovrebbe certo trovare giustificazioni bensì condannare. Parafrasando il XIV Dalai Lama: “tutte le religioni parlano di amore e compassione”, il resto è interpretazione folle di omuncoli!

    1. Niente è inutile quando si ragiona di idee. La nonviolenza è molto importante, anche perché non si sa mai di che cosa realmente si stia parlando. A me non è piaciuto il pugno di Bergoglio perché gli è venuto istintivo, un po’ macho. Ma non è così rilevante. Forse era più bella la “carezza” che mandava Giovanni XXIII la sera “della luna”. Tuttavia mi permetto di precisare che Gesù se la prende da ebreo che vuole essere coerente con chi profana il tempio, proprio come il padre che “corregge” il figlio. Quando qualcuno lo provoca a giudicare i romani, prende la moneta e non dice di negare il tributo all’infedele, ma che pagare le tasse non è questione di fede. Quindi quella che una certa ipocrisia chiama la “correzione fraterna” (perché spesso interessata o umiliante) non è il permesso di agire con violenza alla violenza ostile. Per questo Gesù dice di porgere l’altra guancia e, soprattutto, davanti a Pilato chiede “perché” viene picchiato, vuole le ragioni di una presunta colpa. Per questo io, se faccio politica e sono nonviolenta, studio per prevenire i conflitti, ben sapendo che, se lascio correre e faccio solo bei discorsi, poi si arriva a la guerra e nessuno è più innocente. Nel privato e nel pubblico. Comunque, grazie a Mao.

  3. L’assoluto è assoluto, il relativo è relativo. La non-violenza appartiene al regno dell’esistenza umana, regno fugace e relativo. E’ saggezza, è la capacità di muoversi nel mondo facendo in modo che prima delle parole parlino i movimenti che caratterizzano il nostro cammino. E’ l’espressione del viso, delle mani, è l’incedere dei passi a rappresentarci per quello che siamo, a fare capire di che pasta siamo, a determinare in chi ci vede passare fiducia o paura in noi.

  4. sono d’accordo con Riccardo ,anche a proposito della lunghezza dell’articolo, uno sproloquio, come sempre il giustificazionismo. ma io non sono religiosa e facio a meno della benedizione e di dover benedire o maledire. .Mi domando ancora perché gli umani abbiamo bisogno di uccidere per dimostrare che abbiamo ragione

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