• 18 Dicembre 2024 18:47

Israele/Palestina: Intervista all’attivista israeliana Naomi De Malach

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Gen 8, 2024

a cura di Lorenzo Porta°

Premessa con note biografiche dell’intervistata

Naomi De Malach, in italiano Noemi De Angelis, è figlia di genitori italiani, vive da molti anni a Haifa con suo marito David Blanc, docente universitario ed insegnante di Letteratura ebraica e internazionale. E’ stata insegnante elementare ed ora insegna nei corsi di formazione all’insegnamento dei/le  maestri/e. E’ madre di tre figli e nonna di tre nipoti. I figli, due femmine ed un maschio, risiedono rispettivamente a  Kiryat Bialik, a nord di Haifa, a Jaffa, e ad Haifa stessa.

Haifa è la città in cui approdò suo padre, Giulio De Angelis, giovane fiorentino, trasferitosi a Roma da bambino, (in ebraico: Yoel De Malach), che a 15 anni compie l’aliyah, (letteralmente: l’ascesa a Gerusalemme, laicamente la migrazione in terra di Israele con il movimento democratico sionista) arriva per nave in Palestina, sostenuto in questa scelta  dai suoi genitori. Figlio di  antifascisti, deve lasciare la prima ginnasio nel 1938 a causa delle leggi razziali che si abbattono sugli ebrei italiani. Continuerà la sua vita in un  kibbutz socialista di Revivim nel Neghev nel cono sud di quella terra che nel ’48 sarà parte di Israele e dedicherà le sue migliori energie all’agricoltura e alle tecniche più avanzate di irrigazione. La sua vivace autobiografia è nel libro “Dal Campanile di Giotto ai pozzi di Abramo”, ed. Giuntina, Firenze, 2010.  E proprio a Revivim nel sud di Israele nasce Naomi, la terza figlia. (Kibbutz, plurale Kibbutzim: comunità agricola ebraica a proprietà collettiva diffusa fin dai primi del ‘900 nella Palestina e poi nello Stato di Israele).

Naomi nella sua attività ha ricercato una continuità con i valori democratici antifascisti, ispirati ad una pratica socialista che in alcuni kibbutzim trovava un suo centro. Un tratto costante del suo impegno è il riconoscimento dei diritti della popolazione palestinese. La città di Haifa si caratterizza per una presenza importante di arabi israeliani, un’esperienza di convivenza che, nonostante i problemi e le gravi tensioni odierne, assume grande importanza.

Aderisce al gruppo internazionale “Donne in nero”,  che in Israele si è costituita nel 1988.

Dieci anni fa, nel 2013 il figlio Natan ha condotto una lotta importante e tenace per essere riconosciuto come obiettore di coscienza, refusenik, in opposizione  all’attività dell’esercito di sostegno all’occupazione dei territori palestinesi. Anche la figlia Hamutal è impegnata ed appartiene all’organizzazione “Standing togheter” (“In piedi inseme!”).

Questa storia familiare densa di  eventi traumatici, riscosse, grandi speranze e molto impegno politico per la pace  attiva e il dialogo,  è comune a milioni di persone che hanno vissuto e vivono in Israele e nei Territori palestinesi.


(n.di r. )   L’intervista cominciata il 30 novembre, l’ultimo giorno della prima  tregua, è proseguita anche dopo il primo dicembre, quando  le trattative si sono interrotte ed  è ricominciata la guerra.  


Domanda: Tu vivi a Haifa, una delle città più multiculturali di Israele, dove vive da tempo una comunità arabo israeliana, quindi una città che ha raggiunto molti risultati sul terreno della convivenza. Ritieni che le relazioni tra arabi ed ebrei nella tua città abbiano retto all’urto pesante del massacro del 7 ottobre e alla risposta con i bombardamenti  su Gaza? Anche il quotidiano francese Le Monde ha dedicato un articolo alla vita ad  Haifa in questo tempo di guerra. Nelle scuole, nelle università, al lavoro nei luoghi di incontro resiste quel patrimonio  di esperienze interculturali che caratterizza la tua città?

Naomi: I gravi fatti del 7 ottobre  hanno riverberato sulla vita quotidiano della nostra città che ,come dici, ha una lunga storia di convivenza  con gli arabi di cittadinanza israeliana e questo costituisce un tesoro importante. Ti faccio un esempio. In questi giorni alcuni bambini ebrei israeliani che abitano nel nord del paese al confine  con il Libano sono arrivati ad Haifa  per sottrarsi ai pericoli dei bombardamenti.  Ho potuto costatare che uno di loro quando ha visto da vicino una persona in abiti tradizionali arabi ha mostrato paura. Questo non capita ai bambini che vivono nella nostra città, perché sono abituati a frequentare persone delle due comunità. Questo avviene a scuola, nella vita sociale, negli spazi comuni, negli ospedali. Anche se devo dire che anche a Haifa c’è una evidente differenza di tenore di vita tra la componente  ebrea israeliana e quella araba. *(vedi nota)

Domanda: Il movimento dei parenti degli ostaggi ha  raccolto molto sostegno  da parte della popolazione israeliana. Hanno organizzato una marcia a piedi  fino a Gerusalemme per farsi ricevere da Netanyahu, che li ha ricevuti.  E’ cominciata il 24 novembre la fragile tregua che ha visto il ritorno di decine di ostaggi israeliani e la liberazione di donne, adolescenti e giovani  palestinesi. Come vedi gli sviluppi della situazione? Il movimento “Bring them all now!” ( Tutti a casa subito!) dei parenti degli ostaggi insisterà sulla priorita della loro liberazione prima di tutto? Tale movimento lavora in collaborazione con gruppi importanti in Israele che si sono battuti  per il dialogo tra parenti colpiti dai lutti di entrambe le parti? ( domanda  rivolta a Naomi proprio il giorno prima della rottura della tregua, il 30 novembre. n.di r.)

Manifestazione in Novembre per la liberazione degli ostaggi (fonte: Bureau européen port l’objection de conscience)
Palestinesi rilasciati dalle carceri israeliane (fonte: quotidiano israeliano Ha Haretz)

Naomi: Sì! Il movimento dei parenti degli ostaggi ha raccolto un grande sostegno nel paese ed effettivamente in molti pensano che il primo obiettivo  sia il loro ritorno. Ma ci avviciniamo ad un bivio. Quando sarà il momento di accettare la liberazione di palestinesi adulti e oppositori politici, in cambio della liberazione di militari israeliani ostaggi, potranno sorgere delle proteste nella popolazione di Israele.  Nel paese vi è una destra che  è orientata ad anteporre l’obiettivo  della sconfitta militare di Hamas, anche se ciò comporta una crescente ed enorme  uccisione di civili, come sta avvenendo, come tragica conseguenza della grande difficoltà di distinguere gli obiettivi civili da quelli che colpiscono i miliziani di Hamas e di questo fanno le spese soprattutto le donne e i bambini.  Quello che è avvenuto il 7 ottobre è una strage terribile per efferatezza che ha colpito e violentato donne e bambini. Inoltre diversi kibbutzim della zona sud del Neghev,  razziati da Hamas, si sono distinti negli anni per un attività  notevole per la difesa dei diritti dei palestinesi, per il soccorso e la cura sanitaria di palestinesi di Gaza in situazioni precarie e questo rende evidente la cecità  terribile di questa azione violenta.

Voglio ricordare che una delle fondatrici dell’importante e numeroso  gruppo pacifista di donne israeliane e palestinesi  “Women Wage Peace, Vivian Silver,  israeliana di origine canadese,  è stata una delle oltre milleduecento vittime per mano di Hamas.   Lei si era distinta nelle attività di cura sanitaria di  palestinesi di Gaza anche negli ospedali israeliani vicini al confine.

Personalmente appartengo al gruppo  noto a livello mondiale, Women in black (“ Donne in nero”), che in Israele è stato fondato nel 1988 proprio quando cominciava la prima “Intifada”, un’onda di protesta autonoma, spontanea e non armata,  della popolazione palestinese dei Territori occupati di Cisgiordania, che aveva colto di sorpresa anche l‘Organizzazione per la liberazione della Palestina ( OLP), l’organizzazione politica e militare palestinese allora maggioritaria. Judith Blanc, la madre di mio marito, è stata una delle fondatrici di questo movimento in Israele e per me è stata di grande ispirazione.

Mi sento in sintonia con molti gruppi e movimenti, non solo della sinistra storica israeliana, che si sono sempre battuti per i diritti umani e per la convivenza. Ritengo  che sia prioritaria la liberazione degli ostaggi rispetto all’obiettivo della vittoria militare su Hamas.

E’ necessario riprendere un confronto con quelle componenti  della dirigenza palestinese che sono disponibili al confronto  per  ritrovare un percorso che possa dare sovranità alla popolazione palestinese, come dice il diritto internazionale, accanto e non contro Israele.  E questo impone tra le altre cose uno stop netto e chiaro alla politica dei coloni della estrema destra israeliana e delle loro postazioni armate  in Cisgiordania che colpiscono i palestinesi residenti.

un soldato israeliano al confine con Gaza in ottobre
Immagine delle distruzioni a Gaza

Domanda: Abbiamo nominato  alcuni importanti movimenti a partecipazione mista, ebrei ed arabi palestinesi, che lavorano sul campo da decenni. Mi puoi dire nella situazione  attuale  quanto riescono a coordinarsi, a lavorare insieme e quindi a incidere in questa situazione dove gli apparati militari vogliono il sopravvento. Sono molti questi gruppi operanti in Israele, ne cito altri:

Parent Circle, B’tselem, Addamer, Ha Moked, Omdim Beyahad (Standing togheter!), Hand in Hand e Névé Shalom/ Wahat as Salam.

Aggiungo anche le reti di sostegno agli obiettori di coscienza: la rete sociale Mesarvot  collegato con il Bureau  Européen puor l’Objection de conscience ( abbreviato: Beoc). Anche tuo figlio dieci anni fa nel 2013 si è dichiarato obiettore di coscienza e dopo diverse incarcerazioni ha ottenuto di non svolgere il servizio militare ed ha poi scelto di svolgere un servizio civile.

Naomi:  Come dicevo prima il gruppo Women wage peace  negli anni ha concentrato i suoi sforzi per  consentire alle donne di avere più agibilità nei diversi ambiti della società, nel lavoro, nell’impegno politico. E  Vivian Silver  era una delle fondatrici del movimento, che in questi anni è cresciuto  in Israele.  Il movimento delle “Donne in Nero”  aggiunge anche una chiara  opposizione all’occupazione dei Territori della  Cisgiordania, a Gerusalemme Est  da parte di Israele e compie azioni dirette nonviolente con presenza fisica sul campo in difesa della popolazione palestinese come, per esempio,  la protezione  dei pastori che lavorano  lungo il fiume Giordano. Da quest’estate ogni settimana partecipo a questa attività  in cui  ebrei cittadini di Israele  proteggono e fanno testimonianza  dei comportamenti dei coloni che usano la violenza contro la popolazione palestinese dei territori occupati.

Tu nomini diverse organizzazioni che svolgono un ruolo fondamentale per la documentazione e la denuncia delle violazioni dei diritti umani, un lavoro svolto da ebrei israeliani e palestinesi assieme: B’tselem, Addamer, HaMoked  vanno in questo senso. Senza di loro non potremmo essere così incisivi nelle nostre lotta per il rispetto dei  diritti umani. Questo è un patrimonio di esperienze che ora in questa emergenza tragica diventa fondamentale per arginare l’ondata di odio che si diffonde e dare supporto alle agenzie internazionali, a partire dall’ONU , in difesa dei diritti umani.

Sottolineo anche il prezioso lavoro delle scuole bilingue  Hand in Hand  e Névé Shalom-Wahat as Salam  che hanno corsi di studio   frequentati da  ebrei israeliani ed arabi, una pratica piuttosto rara in Israele. Ognuno impara la lingua dell’altro. Ognuno si confronta con la storia come la vede l’altro, praticano un allenamento costante di apertura e confronto, di empatia che dalle materie di studio riverbera nella vita quotidiana. Anche come insegnante  ritengo queste attività una linfa vitale che alimenta il nostro impegno.

Desidero anche accennare ad un’iniziativa della scorsa estate che a Haifa, come gruppo misto di arabi ed ebrei israeliani, abbiamo messo in atto in difesa del monastero cattolico  Stella Maris, che era stato bersaglio di azioni vandaliche da parte di gruppi fondamentalisti della estrema destra israeliana. Un’azione di solidarietà sostenuta dalla popolazione e che ha ricevuto il pubblico riconoscimento sia del Patriarca cattolico di Gerusalemme  Pierbattista Pizzaballa, sia del Presidente dello Stato di Israele Isaac Herzog. ( link qui)

i protagonisti dell’azione di difesa del monastero cattolico Stella Maris ad Haifa con l’abate del Monastero ( foto privata)

Sia i crimini di Hamas e l’accanimento contro donne e bambini, sia  le gravi e sanguinose conseguenze dei bombardamenti dell’esercito israeliano sulla popolazione civile di Gaza, due milioni di abitanti, ci hanno scaraventati in una grave emergenza umanitaria che a Gaza raggiunge livelli insostenibili. Aggiungo anche i gruppi che difendono i giovani  obiettori e le obiettrici di coscienza, come  la rete Mesarvot che si rifiutano di svolgere operazioni militari nei Territori della Cisgiordania, a Gerusalemme est e a Gaza (Leggi qui la lettera dal carcere dell’obiettore Tal Mitnick). Come mio figlio Natan 10 anni fa, oggi in una situazione ancora più difficile, ci sono giovani che si dichiarano obiettori.

Il giovane israeliano obiettore di coscienza al servizio militare nei territori occupati Tal Mitnik ad una manifestazione a Tel Aviv a novembre per il cessate il fuoco e il salvataggio degli ostaggi. ( fonte Beoc)

Ora che le trattative si sono interrotte (il primo di dicembre n.di r.) e che è ricominciata la guerra, ancora di più vanno stretti i contatti di collaborazione  sia qui, sia a livello internazionale affinché si giunga ad un nuovo “cessate il fuoco” al più presto e alla continuazione della liberazione degli ostaggi. Per tutti questi gruppi, che si sono battuti per la difesa dei diritti umani da sempre, si tratta di uno sforzo enorme che deve essere raccolto come un tesoro dalle organizzazioni europee e mondiali che hanno gli stessi scopi per fare pressioni sulla diplomazia ufficiale.

Domanda: A proposito di lotta per la giustizia e i diritti, gran parte della popolazione israeliana ha condotto per quasi un anno una lotta tenace e democratica per la difesa  dell’equilibrio dei poteri contro il disegno di “revisione giudiziaria” preparato dal governo in carica. Ci sono state ben 42 settimane di lotta aperta e democratica in Israele  che finora  non hanno consentito al governo di  varare quel disegno di legge.  Puoi descrivere  gli effetti  degli eventi del 7 ottobre  sul movimento “pro-democrazia” in Israele?

Naomi: Sì, gran parte della società civile israeliana  si è impegnata  a salvaguardare l’autonomia della Corte suprema, il massimo organo della magistratura, opponendosi all’elezione dei suoi membri da parte del governo. Organizzazioni professionali, ampi settori del mondo del lavoro hanno voluto pronunciarsi contro questa revisione. Addirittura gruppi di ex -militari ed ex- membri dei servizi di sicurezza si sono pronunciati contro. C’è il gruppo Achim laneshek  (Fratelli in armi!)  di  veterani che ha espresso il suo dissenso. E’ stata una crescita collettiva del livello di democrazia nel paese. Inoltre una Corte suprema autonoma  fornisce delle garanzie per il blocco di leggi discriminatorie contro la minoranza palestinese che peggiorano le condizioni di vita della popolazione. Ricordo che a questa mobilitazione ha partecipato anche il gruppo  Hagush neged hakibush ( “Fronte contro l’occupazione”)  a cui aderisco.

La tragedia del 7 ottobre ha bruscamente arrestato quel movimento “Pro-democrazia”.  

Il braccio armato di Hamas  ha paradossalmente fornito un sostegno alla tesi del primo ministro Netaniahu che sostiene che  non ci siano possibilità per un accordo con i Palestinesi, favorendo quindi i partiti della destra religiosa nazionalista che da tempo operano per un’annessione  progressiva dei territori della Cisgiordania, di Gerusalemme est attraverso gli insediamenti armati dei coloni.

In questa situazione ritengo che sia qui in Israele, sia in Europa e a livello internazionale è fondamentale creare le condizioni affinché le parti possano condividere reciprocamente il dolore che sentono in loro e ciò sia sostenuto dalle organizzazioni che finora hanno agito coraggiosamente per favorire un confronto tra le due parti. La rottura del cessate il fuoco, il blocco della liberazione degli ostaggi e il conflitto armato che sacrifica i civili va contro questa prospettiva.

L’intervista è terminata il 10 dicembre la giornata mondiale per i diritti umani, 75° anniversario della  Dichiarazione universale dei diritti umani approvata dall’ONU.

E’ anche il 75° anniversario della nascita dello Stato di Israele.


* Nota:

La popolazione israeliana  supera di poco i 9 milioni di abitanti. Circa il 22% essi, quasi 2 milioni, sono di origine arabo-palestinese  con cittadinanza israeliana. Essi parlano la lingua araba ed anche la lingua ebraica. La componente religiosa musulmana è maggioritaria rispetto ad una minoranza palestinese cristiana.  Sono discendenti delle famiglie che abitavano la Palestina e che rimasero nelle loro case anche quando si costituì lo Stato di Israele nel 1948. Circa seicentomila arabi palestinesi invece lasciarono le loro case quando lo Stato di Israele fu proclamato e in gran parte vissero la condizione di profughi nei paesi confinanti con Israele: prevalentemente in Giordania, Libano, Egitto.


°Intervista realizzata da Lorenzo Porta, docente di scienze umane e filosofia nei licei fiorentini. Da anni svolge attività di informazione e sostegno  ai gruppi misti di ebrei ed arabi. Nel corso degli anni ha contribuito agli incontri di gruppi di studenti provenienti dalla scuola bilingue Névé Shalom /Wahat as Salam ( “Oasi di pace” in lingua ebraica ed araba) con studenti italiani. Ha pubblicato  articoli su questi temi sulla Rivista “Azione nonviolenta”,  “Keshet” ( Arcobaleno) e “Mosaico di Pace”.  E’ coordinatore del Centro di Documentazione sociale per la nonviolenza e i diritti umani (CEDAS).


FOTO di copertina: Naomi De Malach in una manifestazione della scorsa estate del grande movimento pro-democrazia diffusosi in Israele nel 2023. Sul cartello la scritta: “ Non c’è democrazia con l’occupazione dei territori di Cisgiordania e Gerusalemme est”.

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