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Kashmir

DiDaniele Lugli

Ago 26, 2019

Una parte è annessa al Pakistan, una parte alla Cina, una parte all’India, con uno statuto speciale. Ora anche questo è abolito. Il Kashmir non avrà più una costituzione, una bandiera, a ricordarne la possibile unità.

Non è mai stata terra di pace. Tra India e Pakistan ci sono state quattro guerre per annetterlo: 1947, 1965, 1971, 1999. Tensioni e scontri sono continuati negli anni successivi. Anche quest’anno, con l’abbattimento di due aerei indiani nel febbraio, si è temuto l’allargamento del conflitto. Arresti massicci sono in questi giorni in corso da parte della polizia indiana.

Due potenze nucleari, che non osservano nessun trattato al riguardo, si confrontano sull’Himalaya. Inutile sottolineare quanto sia pericolosa la situazione. Eppure non se ne parla. Scrive Alberto Negri (del suo giudizio mi fido): “Il Kashmir secondo il governo di Delhi verrà diviso in due entità: una sarà denominata Kashmir con la maggioranza musulmana, un’altra si chiamerà Jammu a maggioranza indù. Con il Ladak a maggioranza buddista, che costituirà una sorta di enclave tibetana. Ma la decisione più significativa sarà proprio quella di annullare il divieto di acquisto di case e terreni da parte di non residenti in Khasmir: questo significa che Delhi si prepara a lanciare una sorta di Opa sulla regione dando via libera agli investimenti e al ripopolamento da parte degli indù”. La colonizzazione degli indù in terra musulmana segue un modello noto e attuale. Come le colonie ebraiche in Palestina, come l’offensiva turca contro i curdi, mira a mettere in estrema difficoltà e minorità economica, politica e sociale chi non si può – come si vorrebbe – eliminare. È il migliore e sicuro presupposto per nuovi e cruenti conflitti, la cui gravità non è prevedibile.

Il Kashmir – speranza per indù, musulmani, tibetani – meriterebbe l’attenzione che è riservata al suo prodotto più noto: il cachemire. È una straordinaria fibra tessile, dal pelo di capre himalayane, precisamente: dalla peluria del sottomantello, dal duvet, che andrebbe raccolto con pettinatura a mano, non con tosatura. La lavorazione migliore e più pregiata, mi si dice, viene tradizionalmente fatta in Italia. La maggior parte del prodotto grezzo viene dalla Cina, ma produttori ne sono pure. Mongolia, India, Pakistan, Iran, Afghanistan. Da qualche tempo anche Australia, Stati Uniti, Scozia e Francia si sono dedicati all’allevamento delle pregiate capre. Un po’ di questa attenzione potrebbe utilmente spostarsi sul Kashmir, per la sua e la nostra sicurezza.

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2023), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948

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