Documento d’indirizzo per la Commissione 2
di Pasquale Pugliese * e Caterina Del Torto **
La campagna “Un’altra difesa è possibile” – lanciata dall’Arena di Pace e disarmo del 25 aprile 2014 – centrata sulla proposta di legge per l’istituzione del “Dipartimento per la difesa, civile non armata e nonviolenta” è il punto di sintesi di molti percorsi storici di lotta del movimento per la pace, e nonviolento nello specifico (il disarmo, la difesa popolare nonviolenta, il servizio civile, i corpi civili di pace, la riconversione del’industria bellica) che confluiscono all’interno di una finalità più ampia la quale, assumendoli tutti, li rilancia in una prospettiva politica e culturale più ambiziosa: sottrarre il monopolio della difesa ai militari. Sia come concetto, che come organizzazione, che come risorse. A partire da una radicale considerazione della idea di minaccia.
Mentre la Costituzione italiana impone di difendere i diritti dei cittadini – ripudiando la guerra come mezzo e come strumento – ci troviamo da anni nella situazione di costante riduzione di risorse per i diritti sociali e di aumento delle spese militari (più 21% in dieci anni; e addirittura + 85% considerando solo le spese per armamenti!): siamo al ripudio della Costituzione anziché della guerra. Ne è un esempio il “Piano nazionale per la prevenzione del rischio sismico” che per il 2016 ha autorizzato una spesa di 44 milioni di euro, meno dei 64 milioni che il governo spende al giorno per la difesa militare! Ciò dimostra quanto sia distorta l’idea di “difesa” nella quale persistono le scelte del governo: massicci investimenti pubblici in funzione di ipotetiche minacce esterne, derivanti da potenziali nemici, e solo residuali e insufficienti risorse per difendere i cittadini dagli effettivi rischi alla loro sicurezza, come il terremoto o i disastri idro-geologici. Oppure per le quasi inesistenti protezioni rispetto alle concretissime minacce della disoccupazione, della povertà, dell’inquinamento, della mala sanità ecc. Non è un caso che nel 2015 la mortalità degli italiani sia aumentata dell’11,3 % rispetto all’anno precedente (un’impennata che ha precedenti solo negli anni della guerra). Ciò significa che la preparazione della guerra contro i “nemici” provoca una guerra vera contro gli “amici”, i cittadini di questo Paese.
Le fonti storiche e i riferimenti culturali che ispirano la campagna “Un’altra difesa è possibile” sono molteplici: l’esercito nonviolento gandhiano, la resistenza civile contro il nazifascismo, la Costituzione italiana, le conquiste degli obiettori di coscienza al servizio militare, i progetti (Alex Langer) e gli interventi civili di pace, le teorie e le pratiche di conflitto nonviolento… Per questo l’impegno sulla Campagna, al di là della finalità della proposta di legge di istituire un Dipartimento della difesa civile, non armata e nonviolenta – pur estremamente rilevante (Aldo Capitini aveva proposto “l’istituzione di un Ministero o Commissariato per la resistenza alla guerra” fin dal 1949) – ha un valore politico generale di avanzamento della prospettiva nonviolenta nel Paese, già declinata negli obiettivi della proposta di legge.
Difendere la Costituzione, affermando i diritti civili e sociali in essa enunciati – investendo in politiche attive per il lavoro e la sicurezza sociale – e difendere l’indipendenza e la libertà delle istituzioni democratiche del Paese; predisporre piani per la difesa civile non armata e nonviolenta, alternativa a quella militare, avviando progetti di formazione della popolazione alla resistenza civile; avviare ricerche e percorsi per la pace e l’educazione – a tutti i livelli di formazione – fondati sulla gestione nonviolenta dei conflitti, in specie interculturali; smantellare gli armamenti per liberare le risorse oggi bruciate nelle spese militari, sostituendo progressivamente la difesa armata con quella civile; riconvertire a fini civili le industrie belliche e vietare produzione e commercio delle armi; costituire un vero e preparato corpo civile di pace impegnato nella prevenzione dei conflitti armati, nella mediazione, nella riconciliazione, nella promozione dei diritti umani; investire risorse sulla solidarietà e la cooperazione internazionale in particolare nelle aree a rischio di conflitto, in conflitto o post-conflitto; contrastare le situazioni di degrado sociale, culturale ed ambientale – all’interno della quali, nelle periferie delle città, possono attecchire anche scelte fondamentaliste – anche con un grande investimento nel Servizio civile universale. Sono gli obiettivi della Campagna “Un’altra difesa è possibile” pienamente dispiegati, il programma politico per la pace all’altezza del tempo della guerra.
Mentre si perseguono questi obiettivi generali, sul piano organizzativo è avvenuta una importante “contaminazione” tra le Reti che, insieme al MN, promuovono l’Altra difesa possibile. Questo è un punto di avanzamento solido, già operante: “Un’altra difesa è possibile” è una campagna nonviolenta ma non è la campagna dei (soli) nonviolenti. Ha al suo interno molte anime – dalle organizzazioni del servizio civile alle reti disarmiste ai sindacati e molto altro – che, seppur differentemente attive, si incontrano e si confrontano sui temi della nonviolenza, sia durante le fasi di azione (raccolta firme, raccolta cartoline) che nelle fasi di elaborazione, come gli importanti “Stati generali delle difesa civile, non armata e nonviolenta” tenutisi il novembre scorso a Trento.
Se è vero che le organizzazioni nazionali aderenti alle sei Reti – sulla carta più attrezzate sul piano operativo – non hanno dato complessivamente quel contributo che ci si sarebbe aspettato, mentre sono state più attive le piccole organizzazioni tradizionalmente legate all’area nonviolenta, tuttavia sia la prima fase della Campagna – la raccolta di firme sulla proposta di legge di iniziativa popolare – che la seconda, appena conclusa – la sottoscrizione delle cartoline da consegnare ai parlamentari – hano visto una straordianria e inaspettata mobilitazione di gruppi spontanei territoriali, sovente composti da cittadini senza una precisa appartenenza associativa, che hanno visto nella Campagna la possibilità di “fare qualcosa” di fronte al panorama sempre più inquietante di guerre, terrorismi e crescenti spese militari. Naturalmente, laddove i territori locali e i coordinamenti regionali vedono la presenza di Centri del MN ciò ha fatto da ulteriore traino per una maggiore densità di attivazione.
Questa dunque non è (solo) la Campagna del MN, ma al Movimento Nonviolento è toccato – e tocca ancora – l’onere maggiore, perché ne è stato l’ideatore, ne cura la segreteria organizzativa, ne è il motore che traina e il soggetto che cura le relazioni tra i promotori, tanto sul piano nazionale che territoriale. Da quando facemmo ufficialmente nostra al Congresso di Torino la via della proposta di legge di iniziativa popolare, abbiamo fatto molti passi in avanti, per niente scontati: la proposta di legge è ora alla Commissione Affari costituzionali presso la Camera dei Deputati, ai quali, inoltre, sono state indirizzate oltre 21.000 cartoline dai loro elettori.
All’interno di uno scenario generale che vede ripiombata l’umanità nel pieno di una rinnovata corsa globale agli armamenti, nella quale i dati dell’osservatorio Milex ci dicono come l’Italia sia in prima fila sul piano della spesa pubblica bruciata sull’altare della “difesa militare”, tanto che per un anno di “Servizio civile”, dichiarato “universale” (uno dei pilastri della difesa non armata) si spende quanto quattro giorni di spesa militare; in un panorama politico sempre più incerto, in cui l’unica certezza è che i temi del disarmo e della costruzione della pace sono espunti dal dibattito pubblico italiano, al nostro Congresso tocca sia di fare il punto sullo stato dell’arte della Campagna, sia, soprattutto, di elaborare ipotesi e strategie di sviluppo, da proporre alle reti promotrici, per passare alle fasi successive di azione per la difesa civile, non armata e nonviolenta. Tanto sul piano politico, quanto sul piano culturale.
* Centro di Reggio Emilia
** Centro di Verona