Nella prima parte dell’intervista raccolta nella primavera 2015 dalla giornalista Dalia Bighinati per Telestense, Daniele Lugli prendeva spunto dalla campagna “Un’altra difesa è possibile”, che allora era in pieno svolgimento, per parlare di corpi civili di pace e della necessità di costruire a livello internazionale forme non armate di prevenzione, mitigazione e ricomposizione dei conflitti.
Di seguito la seconda parte di quell’incontro, dedicata alle potenzialità e ai limiti della democrazia. La difficoltà, dice Daniele, è “avere il senso di quello che ci sta accadendo”.
In questi anni abbiamo sentito crescere la paura nei confronti dell’invasore, anche se è un invasore macilento che mette a repentaglio la propria vita per arrivare in Italia. Però questo è un tema dominante, insieme a venature fortissimamente razziste, e anche oggi i media lo favoriscono. Nei confronti di questa paura, il Movimento Nonviolento e gli altri movimenti dell’area, cosa argomentano?
Quando c’è la paura non c’è spazio per altro. Ed è vero che la paura come tale, quando c’è, bisogna prendere atto che c’è. Però è possibile, intanto, non farsene imprenditori, al contrario di alcune forze politiche, o di alcune forze che a fatica si possono chiamare culturali. E quindi comprendere il gioco molto sporco che si va facendo, su un elemento drammatico e però costante che è quello delle grandi migrazioni di massa che peraltro si volgono, al 90%, all’interno di questo terzo mondo in difficoltà, aumentandone le difficoltà. E si è visto anche una contrazione dell’immigrazione per quello che riguarda il nostro paese, collegata, ahimè, alla crisi economica. Persone che cercano un posto dove stare meglio molto spesso vedono l’Italia come un ponte per andare in Germania, in Danimarca, in Norvegia… paesi che hanno altre possibilità di occupazione, per cui il disagio nostro, quello di essere attraversati, è limitato rispetto al disagio delle persone che fanno questa scelta.
La difesa però innesca anche reazioni di tipo adrenalinico. Lei dice: va incanalata.
Esattamente. Per questo per noi è molto importante conoscere nel modo più approfondito e più preciso le situazioni per come si presentano. Non abbiamo nessun interesse a fare una rappresentazione irenica della realtà, vogliamo proprio vederci dentro. Non a caso sono i movimenti pacifisti ad avere studiato con più attenzione gli ultimi conflitti internazionali, e ad avere rilevato – questo è diventato ormai indiscutibile – che in ogni conflitto affrontato militarmente si è usciti peggio di come si era entrati. Gli stessi generali hanno detto: va bene, possiamo fare la guerra, ma ci dite per che cosa? E neanche si è capito verso quale direzione di pacificazione, di maggior giustizia, in qualche modo si andasse.
A Ferrara è venuto più volte Yadh Ben Achour, autorità militare e politica in Tunisia, colui che ha guidato una sorta di corte costituzionale per una transizione culturale e politica. Ha scritto un libro molto bello, “La tentazione democratica”. Questo ci dice che ci sono forze in quel mondo che vedono la democrazia come tentazione e come orizzonte. Il problema è, per noi, far vedere che la democrazia è in grado di mantenere le sue promesse. L’unica sua forza è proprio far vedere che nonostante le paure è in grado di mantenere le promesse che fa.
Però ha funzionato l’affermazione per cui la democrazia doveva essere esportata con gli eserciti.
Diciamolo semplicemente: è una cosa infame. Non è mai successo, e non potrà mai succedere. La democrazia deve essere vissuta quotidianamente. Anche nel nostro paese, nel momento in cui se ne avverte la fragilità, se ne avvertono i limiti, se ne avverte l’impotenza, non c’è niente che ce la imponga. Nonostante pensiamo in Europa di essere il cuore della democrazia.
Eppure le armi hanno sempre avuto il loro fascino, anche nei giochi dei bambini. Forse a scuola, nello studio della storia, non c’è abbastanza attenzione nel mantenere la memoria di quello che è stata la guerra. Dopo Auschwitz, altri genocidi sono avvenuti. Forse le nuove generazioni non sono abbastanza coscienti di quello che è accaduto.
Sì, però io credo che la difficoltà sia non solo quella di mantenere la memoria del passato, ma di avere il senso di quello che ci sta accadendo. Passaggi di disumanità che una situazione di pericolo, o come tale avvertito, rende generalizzati.