“La guerra in trasformazione: questioni generali e attualità” è il tema di un incontro di studi tra SIDI e SIFD – Società italiana di Diritto internazionale e dell’Unione Europea e Società italiana di Filosofia del Diritto – a Giurisprudenza di Ferrara, il 7 dicembre. Si ripropone il tema della capacità del Diritto di impedire la guerra o, per lo meno, di disciplinarla, alla luce del conflitto in Ucraina. Sotto entrambi i profili non ne esce bene, come tutti possiamo vedere. Si aggiungono piuttosto ulteriori colpi al diritto internazionale e alla sua più ambiziosa costruzione che è l’ONU.
Intanto se ne parla come se fosse la prima guerra in Europa. Chissà in quale continente si trova la – ormai ex – Jugoslavia? Eppure sono state guerre durate un decennio, a partire dal ’91, dalla Slovenia alla Macedonia. Vent’anni dopo la loro cessazione, quei conflitti non sono completamente sopiti. Già in quell’occasione il diritto internazionale mostra tutta la sua debolezza e la guerra ne esce legittimata, come intervento per ragioni umanitarie, di fronte a stragi e a ogni genere di efferatezze. La guerra si arricchisce di nuova aggettivazione: giusta, legittima, umanitaria e, grazie al progresso tecnico capace di colpire solo gli obiettivi necessari, chirurgica. Se seguiamo il giusto suggerimento di Lombardi Vallauri, esplicitando guerra in carneficina di massa, ci accorgiamo facilmente come sia difficile dire carneficina di massa giusta, legittima, umanitaria, chirurgica.
Un nuovo aggettivo caratterizza questa guerra, nella quale siamo direttamente coinvolti più delle decine di altre in corso, anche più sanguinose, ma di un sangue che non ci riguarda. È una guerra ibrida, un aggettivo che bene può accompagnare anche carneficina di massa, indicando tutto l’assieme di misure ostili aggiuntive: informatiche, energetiche, economiche, finanziarie, dirette allo stato e a singole persone, Quelle da parte russa sono inaccettabili ricatti, quelle che provengono dalla nostra parte sono necessarie e commisurate sanzioni. Così noi svolgiamo opera di informazione, loro fanno propaganda menzognera.
L’ONU non pare essersi attivata con tutti gli strumenti a disposizione per por fine al conflitto o almeno mitigarlo con una tregua. L’Assemblea condanna le annessioni di territori ucraini alla Russia come illegali: 143 voti a favore, 5 contrari (Russia Bielorussia, Eritrea, Corea del Nord e Siria) e 35 astenuti, tra cui Cina e India. Ma quando vuole documentare, in un registro internazionale, danni, perdite o lesioni agli ucraini causati dalla Russia l’esito è ben differente. La proposta è approvata con 94 voti a favore, 14 contrari e 73 astenuti. Ai cinque contrari già nella votazione sull’illegalità delle annessioni, si aggiungono Bahamas, Cuba, Centrafrica, Etiopia, Iran, Mali, Nicaragua, Zimbabwe e pure la Cina. Non sto a pesare in termini di popolazione i diversi schieramenti.
La NATO – da tempo trasformata in alleanza offensiva anziché difensiva, o difensiva solo se si accetta la dottrina della difesa preventiva – non tiene in alcuna considerazione l’Onu. Se ne considera il sostituto. Nessuna esperienza di guerra sembra convincerla di come questa abbia sempre reso pessime situazioni già cattive: Iraq, ex Jugoslavia, Afghanistan, Libia sono solo alcuni esempi. I consistenti aiuti in armi, addestramento e intelligence all’Ucraina rendono equilibrata una guerra nata come fortemente asimmetrica. La Russia giustifica con una retorica, che ben conosciamo per averla praticata, l’aggressione, chiara violazione del diritto internazionale, qualificandola come operazione speciale. Sarebbe un intervento umanitario a tutela dei russofoni, perseguitati. Al più si tratterebbe di difesa preventiva, la cui pratica nessuno contesta all’Occidente. Quanto all’evocazione dell’atomica gli USA, che della NATO hanno pieno controllo, sostengono che, per evitare il conflitto nucleare, decisiva è la deterrenza, con un rafforzamento degli arsenali.
La minaccia nucleare è, nell’incontro, oggetto di particolare attenzione nella relazione di un internazionalista, a lungo componente dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), organo dell’ONU operante dal 1957. Anche nel contesto della guerra in Ucraina continua a svolgere, con comprensibili difficoltà, la sua funzione di salvaguardia e sicurezza. Quest’ultima è considerata nel duplice aspetto di safety, protezione della popolazione rispetto al rilascio di radiazione delle centrali, e security, sicurezza delle centrali stesse rispetto a minacce portate dall’esterno e dalla guerra in corso. Sono considerazioni non applicabili all’armamento nucleare non più presente sul territorio. È con la consegna di 1900 testate nucleari alla Russia che l’Ucraina ottiene l’assicurazione del rispetto della propria sicurezza, indipendenza e integrità territoriale, con la garanzia di Stati Uniti e Regno Unito. Resta il fatto che, per quanto ritenuto improbabile, l’uso dell’atomica da parte della Russia non è escluso. Né può esserlo. La cosiddetta deterrenza funziona solo se c’è la disponibilità a farne uso, in caso di pericolo estremo e per difesa, che in questo caso non può che essere preventiva. Lo puntualizza l’ultima Nuclear Posture Review che indica politica e strategia nucleare, ruolo ed evoluzione delle forze nucleari degli USA e perciò della NATO. Nessuna attenzione al Trattato per la messa al bando delle armi nucleari (TPNW) e neppure al Trattato di non proliferazione (NPT). Questo, sempre sbandierato dagli USA, da cinquant’anni impone di “condurre quanto prima i negoziati in buona fede su efficaci misure relative al disarmo nucleare”. Perciò sarà rafforzata la triade nucleare; missili intercontinentali con base a terra, su sottomarini e bombardieri strategici. Solo così la Russia non sarà indotta a una guerra convenzionale contro la NATO, né a considerare l’impiego di armi nucleari, non strategiche, nel conflitto.
Un’arma particolarmente ripugnante rende ibrida la guerra, l’uso dei migranti. Da tempo gli analisti parlano di Weaponised migration, migrazione usata come arma. Ora questo aspetto entra nel discorso pubblico ed è divulgato dai media. Già un anno fa lo denuncia Draghi, allora Presidente del Consiglio, a proposito dei rifugiati ammassati al confine tra Polonia e Bielorussia. Più recentemente titola e documenta, ad esempio, l’Espresso, “I migranti usati come armi: la strategia dietro l’aumento degli sbarchi in Italia”. Si perfeziona la percezione dei richiedenti asilo non come persone in cerca di una dovuta protezione, ma come minacce. Sono armi rivolte verso di noi, i nostri Stati, le nostre società, la nostra vita. Sono armi letali, almeno da allontanare se non è possibile distruggerle. A questa linea, con l’Italia in prima fila nella guerra alle ONG colpevoli di salvare vite umane, l’Unione Europea, con qualche limitato distinguo, si associa, blindando ed esternalizzando le proprie frontiere, pagando Stati perché facciano il lavoro più sporco.
L’Europa avrebbe, invece, la possibilità, forse pure il dovere, di svolgere un ruolo per affrettare la fine del conflitto, risparmiando tanto sangue. I contendenti lo fanno versare per sedersi, con qualche vantaggio sul terreno, al tavolo delle inevitabili trattative. Per fare questo dovrebbe ricordare l’origine dell’Unione Europea, la tensione, tradotta in strutture giuridiche, verso pace e diritti comuni, il valore dell’autonomia, rispetto alle potenze imperiali che confliggono nel mondo, anche in Ucraina. Invece ha scelto invece la cobelligeranza. Ha attivato l’EPF (European Peace Facility). Visto l’uso un relatore ha indicato come più appropriato EWF (European War Facility). Istituito nel marzo 2021 per preservare la pace, prevenire i conflitti e rafforzare la sicurezza internazionale, in italiano è indicato come Strumento di pace europea. Ci si attenderebbe finalmente l’avvio del Corpo di pace europeo, proposto da Langer fin dal 1995 e oggetto di due positive verifiche di fattibilità, da parte del Parlamento e della Commissione. Macché. Il 2 dicembre 2021 fornisce equipaggiamenti alle forze armate ucraine e il 28 febbraio 2022 “attrezzature e piattaforme militari destinate a fornire forza letale”. E così si continua, con l’aggiunta di un paio d’iniziative di dubbia utilità ai fini, se non della pace, almeno della tregua. Il Parlamento europeo ha deciso che “La Russia è uno Stato sostenitore del terrorismo e uno Stato che fa uso di mezzi terroristici”. Ricalca, il giorno dopo mi pare, la risoluzione dell’Assemblea parlamentare della NATO: “lo Stato della Russia, con il suo regime attuale, è uno Stato terrorista“. Credo sia vero, ma non rende più capace l’UE di un’iniziativa necessaria per portare i contendenti a discutere, arrestando i massacri. Così appare di dubbia utilità la proposta di un Tribunale speciale per punire l’aggressione e i crimini che l’accompagnano. Sarebbe un tribunale, manco a dirlo, ibrido, sotto l’egida dell’Onu e in collegamento con la Corte Penale Internazionale. Ai dubbi su opportunità e fattibilità la von der Leyen risponde: “Troveremo i mezzi legali per farlo”.
Conclude l’incontro un contributo giusfemminista alla lettura della guerra, muovendo da una riflessione sulla vulnerabilità, intesa come dimensione della condizione umana. Ma è un tema sul quale vorrei tornare, con la collaborazione dell’amica autrice del contributo.