di Adel Jabbar
Dal 2003, anno dell’invasione militare dell’Iraq da parte dell’alleanza anglo americana, il paese ha subito numerose fratture e frammentazioni ed in esso regna ormai un disordine generale, la corruzione è all’ordine del giorno e varie milizie con diverse denominazioni spadroneggiano sull’intero territorio. Queste sono solo alcune delle conseguenze drammatiche dell’invasione di quest’antica terra da parte degli USA e UK, terra già compromessa da anni di governo dispotico del clan di Saddam Hussein, dalla prima guerra con l’Iran (1980-1988) e successivamente la seconda guerra del Golfo dopo l’occupazione del Kuwait da parte dell’esercito iracheno(1991) e in fine da numerosi anni di embargo (1990-2003) da parte degli USA. Un embargo fatale che è costato la vita a più di un milione di iracheni.
Larghe fasce della popolazione estenuate, martoriate ed esasperate di questa situazione, ha deciso infine di rendersi protagonista nello spazio pubblico a partire dal 2011 facendo nascere importanti movimenti di protesta contro lo status quo, che rivendicano i diritti fondamentali per la propria gente, diritti fino ad ora negati da parte dei diversi potentati clinastico-familistico-religiosi.
Dall’ottobre 2019 le coraggiose proteste pacifiche di questi movimenti si sono ulteriormente intensificate, malgrado la feroce repressione da parte degli apparati di “sicurezza” e delle milizie filo iraniane. Esse continuano tuttora instancabilmente in numerose città irachene a denunciare la corruzione e l’assenza dello Stato, in quanto garante dell’ordine pubblico e dei diritti fondamentali per i suoi cittadini. I giovani manifestanti rivolgono forti critiche ai gestori dell’affare pubblico evidenziando l’originaria malformazione dell’assetto politico, nato dall’occupazione statunitense e basato su una visione confessionalizzante e etnicizzante in cui il potere viene esercitato da satrapi locali e dinastie familiari camuffate dietro abiti talari, “turbanti religiosi” e “turbanti tribali”. Il potere di fatto è gestito da combriccole che si sono spartite il paese e le sue ricchezze creando feudi personali.
Il fattore principale, responsabile per questa situazione disastrosa è secondo molti analisti e osservatori dell’area, la stessa costituzione del 2005, basata su una logica di spartizione del potere lungo linee confessionali e tribali. Essa non ha dato al paese altro contributo che la costante instabilità politica e il perpetuarsi della conflittualità tra le diverse congreghe al potere il cui principale operato è fondamentalmente quello di spartirsi il ricavato della vendita del petrolio nel momento in cui questa risorsa è rimasta l’unica fonte d’entrata del paese. Questo quadro non è più né tollerabile, né sostenibile, pertanto, la pratica politica necessita una revisione radicale al fine di cambiare l’assetto istituzionale tenendo presente l’importanza della partecipazione di tutte le forze sociali e politiche che da tempo rivendicano la riforma delle istituzioni e pretendono una nuova Carta Costituzionale che metta al centro la concezione dei diritti di cittadinanza e delle pari opportunità tra tutti gli iracheni, donne e uomini, senza distinzione alcuna.