Si conclude qui l’intervento di Daniele Lugli al dibattito introduttivo del XXV Congresso del Movimento Nonviolento (Roma, 2017). Al dibattito, condotto da Mao Valpiana, sono intervenuti Daniele Lugli, il senatore Luigi Manconi e il disegnatore Mauro Biani. Chi lo desidera può riascoltarlo tutto intero grazie a Radio Radicale.
Nella prima parte del suo intervento Daniele rievoca la sua esperienza di Difensore civico della Regione Emilia-Romagna (2008-13), indica le storture dei centri per il rimpatrio comunque denominati (CIE, CPR…) e aveva indicato l’accoglienza diffusa e il servizio civile come strumenti di integrazione.
Nella seconda parte riprende le parole di Capitini, che con sguardo profetico già negli anni Sessanta indicava la necessità di prepararsi ad accogliere i migranti per condividere diritti e risorse, e si appoggiava a dati, esperienze e letture politiche per demistificare il problema.
Ed eccolo qui, a concludere parlando di apertura, parola così cara ad Aldo Capitini e alla nonviolenza.
La parola di Capitini era apertura e apertura è, intanto, l’apertura delle teste. Non fermarsi anche a una convinzione che riteniamo la più fondata sapendo che si può andare oltre.
Certo, io non ho la capacità dell’ottimo Capitini che diceva: “mi vengono a dire che il pesce grande mangia il pesce piccolo ma io non sono d’accordo”. Però le sue parole rimandano all’idea che sulle cose sulle quali non siamo d’accordo occorre trovare altre persone che non sono d’accordo, che questi spazi ci sono. Non sarà poi un caso che i migranti vengono in Europa, perché vedono che in Europa pur con tanti difetti c’è una condizione sociale e di diritto che è un’apertura rispetto alle loro condizioni, rappresenta un elemento di liberazione! E allora, ecco, una delle caratteristiche che hanno i diritti umani, è che il loro allargarsi è una crescita per tutti, a differenza dei diritti patrimoniali per cui se ce li ha uno non ce li ha quell’altro.
C’è quindi questa idea, che c’è un processo di liberazione al quale noi possiamo partecipare e possiamo partecipare qui, non facendo il tifo per le primavere arabe o pensando che qualcun altro debba fare la rivoluzione che noi non siamo capaci di fare.
Noi non siamo stati capaci di darci una Costituzione europea, come è noto, per la responsabilità di certi ceti politici e anche, forse, di un’opinione non matura su questo, però per esempio abbiamo una Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea con la quale fanno a pugni i comportamenti e i provvedimenti che vengono adottati dagli Stati europei, che si mettono contro il diritto europeo. Contro quelle stesse cose che sono state stabilite e che già valgono, che son come i principi fondamentali della nostra Costituzione. Quelli, almeno, hanno un valore giuridico anche in Europa.
Allora dobbiamo sapere che questa cosa è già così, quindi noi abbiamo degli spazi nei quali agire. La risposta a questa crisi dell’Europa non può che essere un’Europa davvero più democratica, solidale, federale. Non il suo disfacimento. Dobbiamo sapere che questo è un impegno anche da un punto di vista politico con tutti i limiti e i difetti che ci possono essere. Sapere che questa è una di quelle possibilità che si danno, di poter intervenire rispetto a quel pugno di manager evocati da Lelio Basso, che non mi sembrano, purtroppo, fuori termine. Però, ecco, capire che è questa la dimensione nella quale confrontarci con la politica degli Stati Uniti o con quello che può fare la Cina.
Che il quadro nostro di riferimento sia almeno quello europeo, questa è una di quelle cose che deve impegnarci anche nella consapevolezza della nostra infinita debolezza. Però su questo possiamo tracciare un’indicazione.
In questo senso secondo me vale non solo il richiamo al fatto che la speranza è l’ultima a morire – io penso che sia l’apparenza l’ultima a morire, e che la speranza inganni – e che di speranza c’è bisogno. Quelli della mia età possono pensare che si va avanti comunque siano le cose, ma i giovani hanno bisogno di avere davanti a loro un mondo nel quale possano influire, intervenire e costruire, e questa possibilità c’è. C’è sempre stata, e in questo momento, in questo disordine ci sono delle possibilità che vanno colte, con difficoltà ma anche con capacità, con intelligenza e con straordinaria apertura.
Apertura, questa parola che Capitini ci ha consegnato.