• 23 Dicembre 2024 21:48

La razionale follia del “progresso”

DiCarlo Bellisai

Ago 25, 2023

Tutte le specie animali, mammiferi e primati inclusi, manifestano diverse e peculiari forme di adattamento al clima ed all’habitat, allo scopo di poterci sopravvivere e, possibilmente, vivere al meglio.

L’essere umano sarebbe però dotato, a differenza degli altri animali, di un’altra capacità, oltre a quella dell’adattamento: quella della trasformazione dell’ambiente naturale in cui vive, che lo porta, sia individualmente che a livello di società, ad accomodare la natura ai propri voleri e piacimenti, come fosse un’entità altra, che è possibile strutturare e pianificare razionalmente. Forse, in modo paradossale, la nostra presunta razionalità potrebbe non essere che un sintomo di follia.

Anche molte altre specie animali riescono a trasformare in parte il proprio habitat, per accomodarlo ai propri bisogni: costruiscono nidi, alveari, tunnel sotterranei, rifugi, perfino dighe, utilizzando i materiali che trovano e mischiandoli insieme. Così come i pachidermi strapazzano il tronco degli alberi per grattarsi la schiena, come gli erbivori divorano tutti i germogli, fin dove non arriva la giraffa. Ma sono tracce che si riassorbono nel ciclo della vita del singolo habitat. Nulla a che vedere con le trasformazioni perpetrate dall’uomo, che ha edificato, perforato, disboscato, costruito, distrutto, ricostruito, inquinato, devastato quasi in ogni regione geografica globale e non vuole fermarsi. Accomodandosi sull’altalena della vita e pretendendo di saltare sempre più in alto.

Sembra davvero che il progresso umano sia entrato in rotta di collisione con l’equilibrio naturale. L’evento conclusivo è ciò che può chiamarsi ecatombe planetaria.

Ma di quale progresso parliamo? Perché nulla può essere più ambiguo di questa parola. Ormai troppo a lungo hanno marciato insieme l’idea del progresso tecnico-industriale e quella del progresso dei diritti e delle libertà. Si è progredito nelle tecniche e nei confort, ma troppo poco sui diritti, mentre si continua ad usare la guerra per dirimere le controversie e si emarginano i diversi per etnia, genere, opinione, fede. Mentre le disparità economiche sono in progressivo aumento. Mentre la natura continua ad essere consumata avidamente. L’idea stessa di progresso andrebbe rifondata, come ha suggerito, tra altri, lo stesso Papa Francesco.

Possiamo domandarci allora se questo processo autodistruttivo sia ormai irreversibile, o se ci siano ancora speranze di riequilibrare il rapporto biologico con la Terra. Non sembra difficile dare una risposta, se non certa, probabile a questa domanda. Dalle catastrofi climatiche, alle pandemie, alle guerre, ai prelievi minerari indiscriminati, all’uso dei combustibili fossili, alla continua produzione di scorie nucleari, fino all’avvelenamento delle acque e alla desertificazione del suolo: tutto farebbe pensare di essere in presenza di un processo ormai irreversibile. L’uomo ricorda quel re dei topi che muore solo dopo aver divorato l’intera forma di formaggio.

Pensate un po’. Oggi, piuttosto che cercare di unirsi davanti alle prossime catastrofi climatiche, le grandi potenze si affrontano non solo in guerre commerciali ed informatiche, ma anche in guerre vere, con impiego di armamenti dai costi spropositati, con la certezza che i due terzi dei morti saranno vittime civili, i terreni saranno inquinati per anni, o decenni. Ma anziché bonificarli, si investe nell’industria dell’autodistruzione, piuttosto che prevenire gli effetti delle prossime catastrofi climatiche, come l’inondamento di numerose isole dell’Oceania e l’erosione delle coste su scala globale, o come la desertificazione di zone prima fertili e l’esodo di intere popolazioni o, ancora, le continue emergenze dovute agli eventi climatici estremi.

Irreversibili lo sono di sicuro le scorie nucleari, attive per centomila anni e alcune ancor di più. Ma che presunzione è questa, dopo pochi millenni di Storia, di lasciare alle generazioni future la gestione di questo terribile veleno? Esisterà ancora la specie umana tra centomila anni? Ne siamo tutt’altro che certi. E dovrebbe, in teoria, custodire in modo appropriato queste scorie mortifere? Un azzardo assoluto sul futuro. Pura follia produrne ancora. Così come mantenere migliaia di testate atomiche nei bunker militari! Speriamo che, prima o poi, anche l’Italia firmi il trattato TPAN per la proibizione delle armi nucleari in sede ONU. Ma non facciamoci illusioni. Il clima mondiale non sembra favorevole alle trattative.

Oltre tutto, gestire le catastrofi diventerà sempre di più una torta per poteri cinici e occulti. La società civile dovrà, nel prossimo futuro, essere chiara ed unita nell’opporsi ad ogni forma di inquinamento, compreso quello mediatico-culturale.

Ci sono ancora possibilità di salvare il nostro pianeta? Istintivamente io rispondo in modo affermativo. E’ ancora possibile riparare ai nostri danni, anche se alcune conseguenze sono già innescate e bisognerà affrontarle. Comunque bisogna almeno provarci. Perché non posso sopportare che la bellezza dei luoghi selvaggi e incontaminati, degli esseri animali ed umani, sia ostaggio di ulteriori predazioni. Né che venga ai bambini e ai giovani negato un rapporto diretto con la natura, sempre più residuale.

Ciò significa che occorrerà resistere per provare a fermare le speculazioni d’ogni genere, ai danni dei territori e dell’ecosfera, ma anche che va ritrovata una relazione armonica con la natura, personale e collettiva, lavorando sul rapporto città-campagna e la produzione di beni comuni. Occorre recuperare il significato, il senso, che oggi può sembrare antico, ma che mai lo sarà: il significato e il senso di comunità.

Carlo Bellisai

Agosto 2023

Di Carlo Bellisai

Sono nato e vivo in Sardegna. Mi occupo dai primi anni Novanta di nonviolenza, insegno alla scuola primaria, scrivo poesie e racconti per bambini e raccolgo storie d’anziani. Sono fra i promotori delle attività della Casa per la pace di Ghilarza e del Movimento Nonviolento Sardegna.