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Per la riconversione RWM in Sardegna LA CAMPAGNA CONTINUA

DiCarlo Bellisai

Feb 7, 2018

Il convegno ha reso pubblici i dati relativi alle commesse di bombe verso l’Arabia Saudita (411 milioni di euro, secondo dati diffusi da Rete Italiana Disarmo) e ha anche messo in luce i motivi profondi, etici, ambientali, sociali ed economici che ci spingono a chiedere la riconversione a usi civili della fabbrica di armi. E’ stato messo in evidenza il fatto che la RWM abbia chiesto al Comune di Iglesias l’autorizzazione per un “campo prove per testate di scoppio” ed un deposito per “materiali infiammabili”. Al momento la procedura, anche grazie alle pressioni del comitato, è ferma per verifica di impatto ambientale del progetto. Ciò stride in apparenza con l’accordo, concertato fra dirigenza RWM e principe saudita, di delocalizzare la produzione di bombe proprio in Arabia. Cosa succede? Piano A e piano B? O un unico piano coordinato? Occorrerà capire meglio le vere mosse della multinazionale degli armamenti.

Tutto questo sembra non entrare nelle considerazioni di Confindustria e sindacati (CGIL e CISL) che in un nuovo comunicato congiunto si soffermano sulla regolarità formale del lavoro nella fabbrica, sfuggendo ancora una volta alla realtà dei fatti, che non vogliono neppure vedere. Come se i cittadini dello Yemen, che subiscono l’efficacia di quelle bombe sulla loro pelle, semplicemente non esistessero. Ma i sindacati che rappresentano il mondo del lavoro, come possono ignorare il massacro di altri lavoratori, come possono sorvolare sulle violazioni dei diritti umani che si perpetrano e di cui i lavoratori RWM altro non sono che l’ultimo, quanto essenziale, tassello? Al di là della risposta ben chiara del Comitato attraverso comunicato stampa, ci troviamo sempre più chiaramente di fronte al teatro di un falso conflitto: lavoratori contro pacifisti e ambientalisti. Il conflitto è falso perché i lavoratori si sentono sotto ricatto da parte dell’azienda e finiscono per trovare il nemico esterno, è falso perché i pacifisti, nei loro sit-in trovano solo, oltre ai poliziotti, solo qualche lavoratore e qualche sindacalista con cui poter parlare, mai un dirigente. Per questo dobbiamo disinnescarlo, continuando a cercare il dialogo con tutti. Per evitare che alla fine lavoratori e pacifisti siano entrambi sconfitti e vinca ancora una volta solo il potere delle armi.

 

Di Carlo Bellisai

Sono nato e vivo in Sardegna. Mi occupo dai primi anni Novanta di nonviolenza, insegno alla scuola primaria, scrivo poesie e racconti per bambini e raccolgo storie d’anziani. Sono fra i promotori delle attività della Casa per la pace di Ghilarza e del Movimento Nonviolento Sardegna.

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