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La scuola come desiderio

DiRoberto Rossi

Ago 18, 2020

Mentre le voci autorevoli, quelle della scienza, dicono che il contributo dei migranti all’aumento dei contagi è minimale, una fetta molto ampia di popolazione ritiene di dar credito a chi, bypassando in modo fraudolento i dati, sostiene che invece siano loro, i migranti, gli untori; dopo essere stati, all’opportunità, anche invasori, criminali a prescindere e derubatori di italici posti di lavoro: crocevia insomma di ogni male del paese.

Viviamo in un’epoca in cui il rapporto di rappresentanza politica è basato sulla menzogna, la mistificazione, il vilipendio, al punto che anche ciò che è più vicino alla realtà viene ricacciato, indistintamente, dentro il turbine delle fake news, rendendo così vano ogni tentativo di reale ed efficace partecipazione politica, basata per definizione su un discorso pubblico razionale, in cui le legittime argomentazione di parte siano edificate logicamente, su dati di realtà, se non incontestabili, perlomeno condivisi perché dimostrabili. Niente di nuovo, ma non per questo meno tragico rispetto alla compiutezza di una società democratica. Non è inutile, ma serve a poco una terapia dei sintomi, perché il male non è solo politico, ma culturale, e si avvia verso una dimensione di struttura, come quelle depressioni curate male, che diventano endemiche, compagne di una vita in cui, se c’è lo spiraglio anche appena accennato di un cambiamento, non ci si sbilancia ad agguantarlo per troppa stanchezza. Questa mi sembra una rappresentazione della malattia che affligge questo paese, non molto lontana dalla realtà, seppur amara: una depressione cronica.

Il rischio è scivolare sempre di più verso una chiusura, sociale, politica, economica, culturale. La soluzione non è, credo, la cura dei sintomi. Non si tratta di definire le strategie per convertire l’attuale. Perlomeno, non la soluzione decisiva. Non è nemmeno la definizione istantanea di una nuova etica pubblica, che passi da un’assunzione di responsabilità collettiva con diverse qualità e quantità a seconda dei ruoli (informativi, politici, economici, ecc). Non lo è perché è pura utopia che si possa stabilire un patto (di conversione) sociale, controfirmato da tutti. Roba da letteratura distopica (eppure è su questo patto, che ognuno faccia bene la propria parte, il proprio lavoro, che è fondata la Repubblica, ex art. 1 Cost). La soluzione, come per ogni male strutturale, viaggia suo binari del lungo periodo e del desiderio, ovvero della fiducia in un futuro migliore, alla costruzione del quale si prende parte con convinzione visionaria. Punto cruciale, atomistico, di ogni etica (tanto più di quella che pretende di essere pubblica e quindi politica) è il pensiero, il sogno, l’amore, per le nuove generazioni. Per questo Bonhoeffer ha sacrificato se stesso e la sua germanica osservazione del quinto comandamento, prendendo parte a uno dei complotti che avrebbe dovuto uccidere Hitler; su questo assunto (le nuove generazioni come fine di ogni azione) si fonda la riflessione pedagogica di Aldo Capitini, di Danilo Dolci e dei tanti, enormi, intellettuali la cui eredità, oggi, è viva, decisiva per alimentare desiderio di futuro. La scuola, l’educazione, il segno di un maestro che indica la strada. Questo è il fulcro sul quale fondare la conversione che si fa rivoluzione, o, in tempi migliori, il binario sul quale far scivolare senza strappi il treno della democrazia. La scuola dovrebbe essere il cuore del discorso pubblico; non come l’ennesimo generatore di polemica (in circostanze pandemiche e non), non come strumento per acquisire, consolidare o, da parte opposta, far decrescere consenso nei confronti di chi governa, ma come fine, visione, desiderio di un’azione politica realmente democratica.

Un tema, quello della cura delle nuove generazioni, intorno al quale potrebbero addensarsi le migliori culture politiche del paese (le stesse che hanno scritto la Costituzione); anche al fine di mettere in minoranza coloro che sulla confusione e la mistificazione dei dati di realtà fondano i loro successi personali, alimentando il torpidume nel quale sguazzano, si nutrono e cagano come maiali.

Di Roberto Rossi

L'interesse per il rapporto tra mafia e informazione e per il tema della censura violenta – sviluppato attraverso i linguaggi della saggistica, del teatro e del giornalismo – gli ha fatto ultimamente incontrare gli amici della nonviolenza, per i quali ha curato la rubrica Mafie e Antimafie su “Azione Nonviolenta”. Ha pubblicato con “Problemi dell'informazione” (Il Mulino), ha partecipato alla fondazione di Ossigeno per l'informazione, l'osservatorio sui cronisti minacciati e le notizie oscurate con la violenza, ha scritto il libro “Avamposto” (Marsilio), sulle storie dei giornalisti minacciati dalla mafia in Calabria. Si interessa di teologia.

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