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La solidarietà non è reato, ma la condizione necessaria per restare umani. Oggi come ieri

DiRedazione

Lug 9, 2018

di Ercole Ongaro

Nel corso del 2017 si è sviluppato un processo che ha sorpreso molti: la solidarietà ha subìto una imprevista mutazione di significato presso l’opinione pubblica: da valore positivo si è trasformata in concetto negativo. Questa mutazione è diventata evidente l’estate scorsa con la campagna di denigrazione delle Ong che operavano i salvataggi in mare dei migranti, prima attraverso una campagna di disinformazione a mezzo stampa, poi con iniziative di alcune Procure, infine con la normativa del governo che imponeva alle Ong vincoli non previsti dal diritto internazionale e dai codici di navigazione. Passo dopo passo, incredibilmente, è stata configurata una inedita fattispecie di reato, denominato “reato di solidarietà”.

C’è stato in Italia un tempo in cui compiere atti di solidarietà verso una persona in pericolo veniva sanzionato con l’arresto o la deportazione o la fucilazione: dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945, i tragici venti mesi dell’occupazione nazista e della Repubblica di Salò. Chi in quella metaforica notte tenne acceso fiammelle di speranza e salvò l’idea stessa di umanità? Quelli che, ascoltando la propria coscienza, scelsero di resistere, perché istintivamente o lucidamente compresero che l’autentico modo di salvare se stessi è di avere a cuore la salvezza degli altri. Perché, se resistere, disobbedendo alla legge dei nazi-fascisti, avesse pure avuto come conseguenza la perdita della vita, sarebbe però stata salva la propria umanità, il senso stesso del vivere. L’essenza della Resistenza è stato scegliere di “restare umani” in un tempo di disumanità, di aprirsi all’altro che era nel bisogno e domandava aiuto, che era braccato e cercava una via di scampo. Fu una scelta di disobbedienza contro le leggi disumane dei nazi-fascisti, fu scoprire che scegliere di stare dalla parte dell’umanità offesa, negata, era liberante anche per la propria dimensione esistenziale.

I “padri costituenti” che lavorarono alla redazione della Costituzione tradussero la drammatica esperienza della scelta resistenziale nell’art. 2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo (…) e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Nessun’altra Costituzione ha un pronunciamento così forte sulla solidarietà. Se qualcuno, fino al 2016, avesse cercato nella nostra letteratura giuridico-penale il tema della solidarietà, vi avrebbe trovato il “reato di omessa solidarietà” (omissione di soccorso di minore o incapace o di persona in pericolo). Nel corso del 2017 invece vi ha fatto irruzione il “reato di solidarietà”, che potrebbe anche essere denominato “reato di umanità”.

In diversi Paesi europei è stato introdotto negli anni scorsi il “reato di solidarietà”. Tra questi la Francia; ma settimana scorsa la Suprema Corte francese ha dichiarato che, in nome del principio di “fraternità”, l’aiuto disinteressato  ai migranti non può essere ritenuto un reato.

La smagliatura giurisprudenziale a livello europeo è stata provocata da una Direttiva del Consiglio Europeo del 2002, n. 90: in essa si configurava come reato il favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegale di migranti, anche in assenza di profitto economico. La Direttiva invitava gli Stati dell’Unione a criminalizzare persone e organizzazioni che assistono i migranti illegali.

È evidente che in Italia non potrà mai essere introdotto il “reato di solidarietà”, considerato l’art. 2 della Costituzione; ma anche in Italia nell’ultimo anno e mezzo è avanzata una normativa che permette il perseguimento di comportamenti solidali nei confronti di migranti o di persone svantaggiate. Lo si è visto praticare, ad esempio, a Ventimiglia e Como.

La Commissione Europea ha persistito in questo indirizzo, tanto che il 2 marzo 2017 ha emanato una “Raccomandazione” agli Stati in cui auspicava, entro dicembre, il rimpatrio forzoso di un milione di migranti irregolari. E l’Italia il 12 aprile 2017 (legge n. 48) ha adottato misure in attuazione della “Raccomandazione” europea per rendere più efficiente il sistema dei rimpatri forzosi, anche abolendo il secondo grado di giudizio per i richiedenti asilo che hanno presentato ricorso contro il diniego. A livello comunale invece si sono introdotte misure che, in nome della sicurezza e del decoro urbano, colpiscono cittadini socialmente fragili. Ma colpire persone solidali, vessare con regolamenti i migranti e le persone svantaggiate alimenta il sentire xenofobo e razzista che serpeggia in strati della popolazione e che deborda in manifestazioni deprecabili di chiusura e rifiuto.

Nel maggio 2017, a seguito di una grande manifestazione popolare, è stata lanciata la “Carta di Milano”, sottoscritta da personalità dell’informazione, dell’arte, delle istituzioni: “Ci impegniamo a tutelare la libertà e i diritti della società civile in tutte le sue espressioni umanitarie: quando salva vite in mare; quando protegge e soccorre le persone in difficoltà ai confini; quando adempie al dovere inderogabile di solidarietà che fonda la Costituzione italiana. Gli atti di solidarietà non costituiscono reato”.

Le politiche dell’Unione Europea o di suoi singoli Stati sulle migrazioni e il diritto di asilo, in particolare gli accordi stipulati con la Turchia e con alcuni Paesi del Nord Africa, compromettono i diritti fondamentali delle persone migranti, e contribuiscono a criminalizzare le attività di soccorso e di assistenza in mare.

Per “restare umani” bisogna opporsi a questa deriva, stare dalla parte di chi mette in atto comportamenti di umanità verso chi è in pericolo, minacciato ed offeso nella sua dignità di persona. Non ci si può rassegnare alla disumanizzazione della convivenza civile, veicolata dall’alimentare paure e dalla de-umanizzazione dell’altro, dello straniero, del diverso, dell’emarginato, perché può essere la premessa a tempeste di violenza.

9 luglio 2018

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