Non abbiamo mai avuto tanti partecipanti al laboratorio di base di Pat Patfoort, che dal 2013 frequenta la nostra città e insegna il metodo su cui lavora da una vita: quello per vivere relazioni “equivalenti”, cioè sullo stesso piano, rispettose. Di norma, non resistiamo alla tentazione di metterci di fronte agli altri in atteggiamento di superiorità, specie se confrontiamo punti di vista divergenti: è forte l’istinto di prevalere, di farsi Maggiore e di mettere l’interlocutore nella posizione di minore.
Pat insegna che questa strada alimenta il conflitto, lo rende pericoloso. L’equivalenza invece aiuta ad ascoltarsi e capirsi.
Facile? Banale? Scontato? Non si direbbe, guardando i volti attenti dei 40 giovani che il 9 giugno affollano la saletta della “solita” Casa delle Culture dove ormai da alcuni anni organizziamo questi momenti formativi. Sono proprio tanti, stanno come sempre seduti in cerchio, ma abbiamo dovuto fare due file, una davanti e l’altra dietro. Non si dovrebbe, il cerchio dovrebbe essere uno solo e mettere tutti sullo stesso piano, ma oggi non si può fare diversamente. Sono ragazze e ragazzi in servizio civile volontario nei diversi enti della provincia. Il Copresc (Coordinamento Provinciale Enti Servizio Civile) li ha avvisati tutti e ha incoraggiato la partecipazione alla formazione con Pat, le ore vengono conteggiate nel percorso formativo. Ormai sappiamo che funziona. E anche gli enti lo sanno. Il primo anno erano una ventina, l’anno scorso più di 25, quest’anno sono 40. Ascoltano attenti Pat, che come sempre parla semplice, fa esempi di vita quotidiana, sparge calore ed empatia. Copiano i suoi schemi e diagrammi. Si appassionano a rispondere alle domande. Si divertono moltissimo a lavorare in gruppo, a simulare, a drammatizzare e rappresentare le loro storie, quando si sono sentiti Maggiori, quando sono stati trattati da minori, quando non hanno saputo fare altro che cascare nelle dinamiche conflittuali, come avrebbero potuto fare per non caderci e uscire pacificamente da un diverbio, da una divergenza.
I ragazzi ci stanno, si vede che la cosa li coinvolge. Hanno l’atteggiamento di chi sta scoprendo qualcosa, qualcosa che piace e convince. E’ la scoperta della nonviolenza come risorsa, come modo efficace per creare buone relazioni. Già, le relazioni: chi ha detto “noi siamo le relazioni che abbiamo?” Una sorpresa, per chi forse pensava che nonviolenza volesse dire passività, stare alla finestra a guardare succedere le cose. Una scoperta, forse, la nonviolenza come esercizio di impegno sociale e civile, come lotta, come impegno per la trasformazione, una scommessa per essere capaci di trasformare i conflitti in opportunità.
E quattro ore intense volano senza che i ragazzi diano segno di alcuna stanchezza. Si vede, quando i giovani sono appassionati oppure stesi dalla noia. Alle 13 sono tutti inchiodati alle sedie. Ci pensa Pat, con la sua proverbiale puntualità, a proporre il giro delle valutazioni e a chiudere. E se gli applausi, come a teatro, danno la misura del gradimento, quello che scroscia alla fine dell’incontro è di quelli che dicono a piena voce “grazie!”. E poi le foto di gruppo e i selfie con Pat, come se fosse una star della tv.
Breve cronaca di una mattina di formazione sulla comunicazione nonviolenta. Sorpresa: la nonviolenza può appassionare i giovani e indicare una strada credibile per vivere meglio con gli altri. Scoperta: la pace parte da noi. Si può fare. Allora facciamolo, sempre di più.
Vittorio Venturi – Centro Territoriale del Movimento Nonviolento di Modena