Stiamo saturando il mondo di armi, questo è il nostro problema.
Così produciamo i risultati che poi tutti detestiamo
Zygmut Bauman
(Festival Filosofia, Carpi 19 settembre 2015)
Siamo ancora frastornati da quanto avvenuto a Parigi, ma il dolore per le vittime misto alla sensazione che la guerra sia alle porte, e può colpire ciascuno di noi, non deve paralizzarci. Questo è il fine del terrorismo: terrorizzare per rendere impotenti oppure uguali, ossia “spetati”. Non dobbiamo fare ne l’uno ne l’altro. E’ necessario reagire, ma occorre farlo con intelligenza.
Il messaggio che sta passando in queste ore, dall’Eliseo in giù, è “siamo in guerra”, che significa “a la guerre comme a la guerre”. Ed è vero che siamo in guerra, con tutte le sue criminali implicazioni, solo che non lo siamo dal 13 novembre 2015: lo siamo da decenni in tutti gli scenari mediorientali. Anzi, in Europa ci siamo illusi di poter fare guerre ovunque e vendere armi a tutti senza subirne le conseguenze. Abbiamo giocato col fuoco e ci siamo bruciati. Oltre a bruciare, ogni anno, centinaia di miliardi di euro in spese militari.
Poche settimane fa lo aveva ammesso anche Tony Blair, una delle conseguenze della guerra in Iraq del 2003 – a favore della quale lo stesso Blair aveva fatto “carte false” sulla presenza di armi di distruzione di massa in quello Stato – è stata la nascita di Daesh, il cosiddetto “stato islamico”.la centrale terroristica, E questo può dirsi ugualmente per l’Afghanistan, la Somalia, la Libia, la Siria: ogni intervento militare, diretto o indiretto (attraverso l’invio di armi) per “stabilizzare” e “democratizzare” quei Paesi ha prodotto un eccesso di instabilità, di terrorismo e di violenza di ritorno. E’ la sconfitta totale della strategia della violenza.
Tra le tante, ricordiamo – prima della strage di Parigi – solo alcune stragi degli ultimi mesi di cui sono state vittima del terrorismo inermi civili islamici: 148 ragazzi uccisi il 2 aprile nel campus dell’università di Garissa in Kenia, i 95 giovani uccisi il 10 ottobre ad Ankara durante una manifestazine per la pace, le 43 vittime dell’attentato del 12 novembre al quartiere sciita di Beirut. E ricordiamo le stragi continue in Siria, insieme all’esodo disperato delle tante persone che cercano scampo e rifugio da questa violenza e trovano la morte nel Mediterraneo oppure chilometri di filo spinato ad attenderli in Europa.
Del resto lo aveva scritto profeticamente Tiziano Terzani , dopo la strage dell’11 settembre 2001 a New York, quando in molti spingevano sull’acceleratore della “guerra di religione” e dello “scontro di civiltà”. “Il mondo ci sta cambiando attorno – scriveva il grande giornalista del Corriere – cambiamo allora il nostro modo di pensare, il nostro modo di stare al mondo. È una grande occasione. Non perdiamola: rimettiamo in discussione tutto, immaginiamoci un futuro diverso da quello che ci illudevamo d’aver davanti prima dell’ 11 settembre e soprattutto non arrendiamoci alla inevitabilità di nulla, tanto meno all’inevitabilità della guerra come strumento di giustizia o semplicemente di vendetta. Le guerre sono tutte terribili. Il moderno affinarsi delle tecniche di distruzione e di morte le rendono sempre più tali. Pensiamoci bene: se noi siamo disposti a combattere la guerra attuale con ogni arma a nostra disposizione, allora dobbiamo aspettarci che anche i nostri nemici, chiunque essi siano, saranno ancor più determinati di prima a fare lo stesso, ad agire senza regole, senza il rispetto di nessun principio. Se alla violenza del loro attacco alle Torri Gemelle noi risponderemo con una ancor più terribile violenza – ora in Afghanistan, poi in Iraq, poi chi sa dove -, alla nostra ne seguirà necessariamente una loro ancora più orribile e poi un’altra nostra e così via. Perché non fermarsi prima? Abbiamo perso la misura di chi siamo, il senso di quanto fragile ed interconnesso sia il mondo in cui viviamo, e ci illudiamo di poter usare una dose, magari «intelligente», di violenza per mettere fine alla terribile violenza altrui…” Ed eccoci – dopo centinaia di migliaia di morti e di miliardi di dollari spesi in armamenti – arrivati alla strage del 13 novembre a Parigi.
La strategia della violenza ha fallito, questo è il dato storico che la cronaca ci riconsegna, giorno dopo giorno, nella sua tragicità. Nonostante questa evidenza ci sono ancora gli imprenditori della paura di casa nostra, gli sciacalli del terrore che dalle testate di giornali, da comizi di piazza e dai social media, aizzano alla caccia al nemico “islamico”, mescolando volutamente in un unico impasto indigesto tutto e il suo contrario. Facendo una costruzione parallela del nemico interno e del nemico esterno, elaborando una sorta di collettiva sindrome da accerchiamento alla quale rispondere con un di più di armi, di armamenti, di guerra e di violenza privata. Il quotidiano nazionale che dichiara guerra all’islam ed il sindaco (e parlamentare europeo!) che brandisce la pistola in televisione per rivendicare il diritto di farsi giustizia da soli, stanno dalla parte di chi alimenta il terrore. E di chi si arricchisce con la vendita delle armi e con la vita delle persone.
Ed allora, che fare? “Dobbiamo reagire – scrive il Movimento Nonviolento – Non farci piegare dal dolore e dalla paura. Non accettare lo stato delle cose. Reagire. Reagire per spezzare la spirale, ed aprire una strada nuova. La violenza ha fallito e se perpetuata peggiorerà ulteriormente una situazione già tragica. La via da seguire è quella della nonviolenza. Sul piano personale e su quello politico. La via del diritto, della cooperazione, del dialogo, delle alleanze con chi in ogni luogo cerca la pace, della riduzione drastica della produzione e del traffico di armi, dei corpi civili di pace per affrontare i conflitti prima che diventino guerre,della polizia internazionale per fermare chi si pone fuori dal contesto legale dell’Onu.
Il terrorismo e la guerra (che è una forma di terrorismo su vasta scala) si contrastano con strumenti altrettanto forti, ma con spinta contraria. Siamo anche noi dentro il conflitto, e lo dobbiamo affrontare con soluzioni opposte a quelle perseguite finora. L’alternativa oggi è secca: nonviolenza o barbarie.” Anzi, ancora più secca, intelligenza o stupidità.
Condivido pienamente la prima parte di questo articolo , mentre mi sembra debole nella seconda, dove propone la nonviolenza nelle formule classiche( dialogo, corpi civili di pace, ecc. ) come risposta positiva e costruttiva, di contro a quella negativa e distruttiva, di chi reagisce alla violenza con altra violenza sospinti dalla paura. A mio parere qualsiasi proposta nonviolenta risulta fallimentare in partenza se non considera le forme di produzione e auto sostentamento di una collettività . Ovvero se non si mette in discussione la forma di produzione capitalistica, fondata sulla competizione anziché la cooperazione, sulla sua natura aggressiva di annientamento dell’altro, visto come nemico da abbattere e distruggere. Se non si vede la natura predatoria di questo modello, funzionale sul piano psicologico a quella che M. Recalcati chiama la ” Notte dei Proci” e la ” legge del godimento ” che vi soggiace, non si può autenticamente e realisticamente proporre alcuna soluzione nonviolenta sul piano globale.