Tolstoj, Capitini, Pinna: il disarmo unilaterale
“Aprite i giornali in qualunque periodo, e, in ogni momento, vi troverete il punto nero causa di una guerra possibile […] la rapacità non ha mai tregua, e continuamente si guerreggia, ora qua ora là, come sulle frontiere e sugli avamposti; e la guerra vera, cioè una gran guerra, può scoppiare da un momento all’altro”. Queste le parole, pubblicate in Italia da Vita internazionale il 20 gennaio del 1899, del profeta disarmato Tolstoj. La Grande Guerra, di cui tra poco partiranno in Italia le ‘celebrazioni’ per il Centenario, sarebbe scoppiata di lì a 15 anni, mentre pochi giorni prima di quel Natale sarebbe nato il nostro Aldo Capitini. Il meccanismo della violenza che l’aggiunta nonviolenta vuole scardinare è lo stesso meccanismo della natura umana, ci dice ancora Tolstoj facendoci balenare la verità dinanzi agli occhi: “Se l’americano desidera la strapotenza e la prosperità dell’America, come anche la desidera l’inglese, l’olandese, l’abissino, l’armeno, il polacco, il boemo; e tutti quanti hanno la convinzione che non si deve né nascondere, né sopprimere questi desideri, bensì andarne superbi e svilupparli in sé e in altri; e se la potenza e la prosperità di un paese o di una nazione non può essere acquistata se non a danno di un paese o di un’altra nazione e talvolta di parecchi paesi e di parecchie nazioni, come mai sarebbe possibile evitare la guerra?”. Per un controcanto di speranza nei riguardi della “trasmutabilità” dell’umana natura può valere una frase di Aldo Capitini: “Se è vero che gli uomini siano diversamente appassionati e interessati, può anche darsi che nel loro cuore ci sia un senso universale di gratitudine e poi anche di partecipazione per chi agisce nel modo più puro e più nonviolento superando qualsiasi schieramento, in attuazione e al servizio del bene primario della pace”. In ogni caso, come è possibile evitare la guerra: questa la questione annosa a cui siamo chiamati di volta in volta a rispondere sia teoricamente sia praticamente, anzi cercando di non scindere questi due piani strettamente connessi. Di nuovo possiamo farci aiutare da Tolstoj per impostare la questione con chiarezza e profondità illuminante: “Ma io dico: perché la guerra non si faccia, non bisogna fare dei sermoni e pregare Dio per la pace, né esortare “english-speaking nations” a stare d’accordo fra di loro per dominare le altre nazioni; né formare duplici o triplici alleanze, l’una contro l’altra: né concludere matrimoni fra principi e principesse di diverse nazioni, ma bisogna abolire ciò che fa nascere la guerra”. Quando andiamo a dire in giro che la guerra è brutta con un sorriso ci viene risposto: “e chi non lo sa?”; è solo quando ci concentriamo sulle cause della guerra, sui movimenti politici e finanziari e culturali della sua preparazione, che compiamo un’attività degna da persuasi della nonviolenza. E la proposta politica del Movimento Nonviolento, al di là delle contingenze e delle Campagne parziali che di volta in volta adottiamo col massimo dell’impegno, è e deve rimanere chiara, un orizzonte che dà apertura alle nostre più svariate iniziative, ma anche un orizzonte aperto che dobbiamo avere il coraggio di portare innanzi agli occhi e la capacità di condividere con il maggior numero di persone possibili. Non dobbiamo consentire che l’allargamento delle prospettive ad altre questioni urgenti e al compromesso, che è la sola reale concretizzazione di progetti politici collettivi, ci faccia obliare il perno dell’aggiunta nonviolenta: l’antimilitarismo. Ricordiamoci le parole di Pietro Pinna: “Ciò su cui non consento è che questo orientamento porti a sottacere – come avviene da parte di stessi nonviolenti – la richiesta nell’immediato del disarmo completo unilaterale, che è quanto e il solo da noi stessi ritenuto valido a scongiurare l’evento bellico. Proponendo altro di mediato, in cui il corpo sociale si adagi soddisfatto e tranquillo, senza chiedere nulla di meglio finché non venga l’ennesima tragica smentita, ci facciamo proprio noi responsabili del peccato di non farvi sgorgare o lasciar addormentare la consapevolezza dell’immediata esigenza di un completo disarmo. Per cui, chi ne è persuaso ha il dovere eminente e primario di adoperarsi – in ogni momento, in ogni sede, in ogni circostanza – per disporre gli animi e le cose a questa persuasione, sapendo che il mondo tutto ha un assoluto bisogno, è in disperata attesa di questa novità pura, quale varco vitale di questa nostra storia gravida di morte“. Con la difficoltà di declinare il disarmo unilaterale come un’attività che compete a ognuno di noi – partendo dal proprio io armato – nella e per la quale c’è sempre da fare qualcosa che è in nostro immediato potere. Resta il fatto che l’impegno teorico e pratico per il disarmo unilaterale rimane l’aggiunta politica rivoluzionaria dell’amico della nonviolenza, il terreno preparatorio per eccellenza di una società veramente nuova, così inedita e inaudita che non può e non deve essere esente da rischi e critiche. È mai pensabile, infatti, che lasciando la realtà così com’è, senza coltivare un fertile terreno preparatorio, la nonviolenza possa affermarsi di colpo e diventare forza tale da vincere da un giorno all’altro in conflitti tenacemente radicati nel circuito sociale ed economico del mondo globalizzato? Per noi tale assunto è assolutamente illusorio finché restiamo, come siamo, in una fase embrionale di costituzione della nonviolenza organizzata – ma è proprio da questa assenza di coscienza della propria impreparazione che viene la cronica deriva dei vari movimenti pacifisti, che senz’aver prima posto il rifiuto integrale della guerra alla base del proprio operare, senza nulla cioè aver fatto in anticipo per costruire un fronte desto e lottante a delegittimare e scalzare lo strumento militare, si ritrovano poi investiti dal torrente della guerra sempre a mani vuote, ridotti semplicemente a condannarla, esecrarla o vanamente contrastarla con gesti d’assoluta irrilevanza, o addirittura a caldeggiarla prendendo la parte dell’uno o dell’opposto belligerante per motivi umanitari, di giustizia e via dicendo. Dunque l’antimilitarismo, l’abolizione di qualsivoglia esercito, si impone come l’esigenza primaria dappertutto nel mondo, fondamentale per togliere finalmente dalle mani di chiunque lo strumento chiave dello sterminio.
“Questo è tutto quanto posso dire – concludiamo con la voce severa e affettuosa di Pietro -. Non pretendo e neppure presumo che la scelta del disarmo unilaterale sia la soluzione di questa infernale storia umana bellicosa. Solo un filo di speranza, al livello politico; e al livello individuale, l’unica a cui possa darmi. Quello però di cui sono completamente certo, è che ogni altra scelta che non escluda armi belliche di qualunque genere, sarà un precipitare di voragine in voragine”. Ne siamo ancora persuasi.