Lo ripropongo perciò con una piccola aggiunta.
Buoni giorni laici
Laicità è per me in primo luogo consapevolezza della propria ignoranza e dell’essere condizionati da molte influenze, non buone, nella propria esistenza. È un processo di liberazione. Non è facile essere liberi dal dogmatismo. Si estende anche oltre la religione. Investe campi che dovrebbero essere della libera ricerca. È la scuola il luogo dove il sapere deve esprimersi in tutta la sua capacità critica e antidogmatica. Non sempre è così. Ho conosciuto un libero religioso, Aldo Capitini, e la sua proposta: “il programma è, non di dividere la scuola in cattolica, socialista, comunista, laica, nonviolenta ed altro, ma di riservare la promozione di questi indirizzi ai nostri centri, ai nostri gruppi, alle nostre riviste, e di costituire una scuola valida aperta, elevata, tale che sia veramente per tutti”.
Il nostro Stato fa differenza tra le religioni credute e praticate e non dovrebbe. Concede privilegi a quella cattolica ed è esposto alle ingerenze della Chiesa. Se queste non sono pesanti come in passato è più dovuto alla qualità delle gerarchie ecclesiastiche, a partire dal Papa, che alla difesa della laicità delle istituzioni da parte di chi ne avrebbe il compito. Ora a Ferrara, ad esempio, abbiamo un Vescovo che appare impegnato per il bene della comunità e i diritti di tutti, dopo uno che ha rappresentato reazione e oscurantismo.
Io sono laico e pure anticlericale, per reazione, credo, ai clericali. Sostengono la partecipazione e l’influenza della Chiesa, nel nostro caso la cattolica, nel governo dello Stato. Questo ruolo attribuito alle religioni, a tutte le religioni, garantisce pessimi risultati per tutti i cittadini. Non solo se si tratta dell’Islam, nelle sue varianti, ma del cristianesimo, nelle diverse chiese, dell’induismo, del buddismo, dell’ebraismo e di quante altre ci propongono la loro esclusiva verità.
Papa Francesco di clericalismo parla in primavera ai vescovi messicani. Vale per tutti. La mondanità spirituale, la vicinanza al potere sono una tentazione. La carità – dice – fa allargare il cuore, spinge ad abbracciare gli esclusi. Il suo discorso si conclude con un fermo invito a non clericalizzarsi, a non dimenticare che il clericalismo è una perversione: “A no clericalizarnos. No se olviden que el clericalismo es una perversión”.
Il laico Capitini, sommamente religioso – forse per questo suoi libri sono stati mesi all’indice – indica quali “princípi di vita e di morte e come tappe necessarie per l’avvenire religioso, la libertà, l’eguaglianza, la fratellanza”. Rileva “che tanti laici, pur dicendosi scolari del Settecento, hanno tradito tralasciandone l’uno o l’altro”. È un giusto richiamo: la laicità non è una condizione statica, è una pratica di liberazione e di costruzione di una comunità migliore. A queste condizioni anche uomini di fede sono benvenuti.
In questa nostra città, nel 1948 Capitini, grazie a Silvano Balboni, suo giovane collaboratore e assessore comunale, organizza un Convegno molto seguito dal quale esce la proposta della comunità aperta. È una proposta più che mai valida. Comunità perché ciascuno si senta accolto e a casa propria; aperta perché nella chiusura le cose si fanno stantie e vanno a male, come quotidianamente sperimentiamo.
La scuola è centrale nella costruzione di una comunità aperta. Sul Corriere della Sera del 9 settembre una lettera di Mariapia Veladiano, scrittrice e preside, scrive cose che condivido e mi piace condividere. Ricorda che la scuola è comunità di vita e comunità educante. Luogo in cui si imparano le dinamiche buone della socialità. Dove non confermo quel che sono ma divento nuovo e più consapevole. Scopro la meraviglia della varietà del mondo attraverso la varietà delle persone che conosco.
È il luogo, aggiungerei, dove imparo a rivolgere il Tu oltre la sfera familiare. “La mia nascita è quando dico un Tu”, mi dice Capitini. Bello se i bambini possono comprenderne il valore e persino che “Tutti è il plurale di Tu”. Speriamo lo insegnino in casa. Mi piace pensarli intenti a costruire comunità sempre più larghe e aperte, composte da chi si rivolge un Tu sincero, dove buongiorno vuol dire veramente buon giorno. Dove le persone sono liete dell’esistenza, della libertà, dello sviluppo di tutti i Tu.
Aggiunta
Il dialogo critico è lo stile della laicità. Mi piace perciò ricordare che sei anni fa papa Francesco ne ha parlato così: “Vi raccomando anche, in maniera speciale, la capacità di dialogo e di incontro. Dialogare non è negoziare. Negoziare è cercare di ricavare la propria ‘fetta’ della torta comune. Non è questo che intendo. Ma è cercare il bene comune per tutti. Discutere insieme, oserei dire arrabbiarsi insieme, pensare alle soluzioni migliori per tutti. Molte volte l’incontro si trova coinvolto nel conflitto. Nel dialogo si dà il conflitto: è logico e prevedibile che sia così. E non dobbiamo temerlo né ignorarlo, ma accettarlo. Accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo… La società italiana si costruisce quando le sue diverse ricchezze culturali possono dialogare in modo costruttivo: quella popolare, quella accademica, quella giovanile, quella artistica, quella tecnologica, quella economica, quella politica, quella dei media… La Chiesa sia fermento di dialogo, di incontro, di unità. Del resto, le nostre stesse formulazioni di fede sono frutto di un dialogo e di un incontro tra culture, comunità e istanze differenti. Non dobbiamo aver paura del dialogo: anzi è proprio il confronto e la critica che ci aiuta a preservare la teologia dal trasformarsi in ideologia”.
Queste parole concludono un articolo de La Civiltà cattolica, che non condivido interamente – ci mancherebbe! – ma che merita lettura.