Studiare, conoscere, imparare. Che altro si può fare per contrastare la marea nera di questi giorni, mesi e anni? E’ un’ondata di demagogia e violenza che ha preso possesso dell’agenda politica e manipolato il senso comune e così chi dissente ha la sensazione d’essere marginale e fuori tempo. E’ diffuso, anche fra i più attivi, un senso di smarrimento, oltre che di scoramento: perciò è una buona idea rimettersi a studiare, prendersi la libertà di fermarsi a riflettere, magari ascoltando chi ha davvero qualcosa da dire. Chi ha pensato e organizzato a Torino il Festival delle Migrazioni (sottotitolo: Siediti vicino a me)– tre associazioni teatrali, Acti Teatri Indipendenti, Almateatro e Tedacà – dev’essersi messo in sintonia con simili considerazioni: ne sono uscite giornate intense, ricche di esperienze, piene di pensiero e di bellezza.
L’immigrazione, come sappiamo fin troppo bene, è la falsa emergenza che viene usata da alcune forze politiche in Italia e nel resto d’Europa per manipolare l’opinione pubblica e scalare il potere con la finalità non dichiarata, ma comunque esplicita, di trasformare in senso autoritario le nostre democrazie, peraltro già deficitarie per conto loro e in grave crisi di credibilità.
L’operazione è in corso da un ventennio e forse più e a guardar bene è l’altra faccia dell’ascesa del modello neoliberale, assunto come pensiero di riferimento dall’intero spettro politico, inclusa cioè la (ex) sinistra di governo. L’emergenza immigrazione e la correlata emergenza sicurezza sono diventati il principale terreno di contesa politica; lo stato minimo neoliberale non consente più di proporsi all’elettore con progetti di riforme sociali o di intervento nell’economia e così, un passo alla volta, le varie fazioni politiche, esautorate dal nuovo potere reale (la finanza, alcune organizzazioni sovranazionali, i cosiddetti “mercati”), hanno cercato legittimazione sul piano dell’ordine pubblico, fomentando le paure cresciute insieme con la precarietà, le diseguaglianze e i cambiamenti demografici.
Viviamo insomma dentro un grande bluff che ha finito per paralizzare il pensiero e frammentare la società: la percezione di insicurezza, un elemento quindi irrazionale, si è sostituita alla realtà dei fatti (il calo continuo della microcriminalità); la fasulla equazione più immigrazione uguale più delinquenza ha fatto il resto, con la complicità inescusabile dei grandi media, compagni di strada decisivi degli imprenditori morali e politici della paura.
Per uscirne, giunti a questo punto e immersi come siamo nella propaganda, occorre decostruire il mostro e per farlo è utile – forse indispensabile – una contatto diretto con il sapere, con l’esperienza, insomma l’incontro con chi vive e studia nel gorgo degli eventi. Dev’essere per questo che al Festival delle Migrazioni le sale conferenze si sono riempite di giovani (moltissimi) e meno giovani e le cene e gli spettacoli hanno avuto il tutto esaurito.
Parlare di migrazioni considerandole per quel che sono, un fenomeno umano che attraversa il mondo, è oggi quasi rivoluzionario. Come sentire il professor EnricoPugliese che racconta la misconosciuta emigrazione dei giovani italiani (più complessa di quel che si può pensare); o Tiziana Barillà che spiega il caso Riace e il perché di tanto accanimento istituzionale contro il sindaco Mimmo Lucano (“perché è una storia di normalità e perché funziona”); o Amitav Ghosh che richiama gli intellettuali al dovere di non voltare le spalle mentre una tragedia ecologica si abbatte sul mondo; o il sindacalista che spiega che cos’è davvero e come si contrasta il caporalato nelle campagne; o il sindaco, il migrante, il professore che elogiano i “passeurs” di Bardonecchia e Ventimiglia; o il giurista che spiega qual è la posta in gioco del decreto sicurezza; o l’espatriata siriana, la giornalista, il cooperante e scrittore che vedono nella tradizione mediterranea – l’arte di mescolarsi – il futuro che finiremo per vivere… E così via.
Viviamo in un ambiente informativo e politico ormai tossico; la ricerca di aria buona – cioè pensieri sani, conoscenze utili, incontri positivi – è un’esigenza vitale e dovremmo quindi moltiplicare le occasioni di incontro e di formazione, qual è stato il festival organizzato a Torino. Gianfranco Crua, delle Carovane migranti, ha usato durante un dibattito una bella espressione, facendo riferimento alla disobbedienza civile attuata a Bardonecchia da chi passa il confine (e da chi aiuta a passarlo): in una musica monotona, fatta dei soliti battiti, questo – ha detto – è un movimento in levare. E’ una metafora della tre giorni torinese ma anche dello spirito che dovrebbe animare il nostro impegno. Prendiamolo come un augurio.