Le guerre in corso sul pianeta ci hanno catapultato nel vortice di una furiosa corsa al riarmo globale, come non accadeva da prima dell’89 del Novecento, che pur essendo ripartita da almeno vent’anni era finora tenuta sotto traccia o, almeno, non rivendicata come accade con il bellicismo, l’ideologia della guerra, oggi dominante tra i governi e sui media. La legittimazione culturale della guerra in quanto tale – strumento obsoleto di regolazione dei conflitti, soprattutto in epoca nucleare – continua ad essere fondata sulla menzogna originaria, una vera e propria formula magica, falsa e irrazionale, ma nuovamente ripetuta all’infinito a tutti i livelli decisionali e mediatici: si vis pacem para bellum.
Per esempio da Charles Michel, presidente uscente del Consiglio europeo, che anticipava l’esito dell’ultima convocazione dell’organismo da lui presieduto (21 e 22 marzo 2024), con una lettera recapitata a molti quotidiani europei, che si concludeva con questa incredibile formula: “Se vogliamo la pace, dobbiamo prepararci alla guerra”. Pienamente confermata anche al vertice Nato dei 75 anni, svoltosi a Washington il 10 e 11 luglio scorsi, che ha rilanciato massicciamente la già lanciata corsa globale agli armamenti. La quale significa per il nostro paese l’impegno a raggiungere velocemente il 2% del PIL in spese militari – come peraltro già votato dal Parlamento nella scorsa legislatura a larghissima maggioranza – ossia a trasferire altri 10-12 miliardi all’anno di risorse pubbliche da scuola, università, sanità e welfare all’acquisto di nuovi armamenti, oltre quelli che già si spendono annualmente.
Eppure non è difficile dimostrare come preparare la guerra per avere la pacesia un’illusione fondata sul pensiero magico, tenuta ancora in circolo per giustificare il trasferimento alle spese militari, e dunque all’industria bellica, di risorse pubbliche crescentemente sottratte agli investimenti sociali e civili. I governi complessivamente non hanno mai speso così tanto per preparare la guerra (2.443 miliardi di dollari nel 2023, dati SIPRI) e i conflitti armati dilagano ovunque (169 sul pianeta nel 2023, di cui 59 coinvolgono Stati, dati UCDT-Uppsala Conflict Data Program), facendo impennare incredibilmente le vittime civili rispetto all’anno precedente (+ 72% nel 2023 rispetto al 2022, dati ONU), con il conseguente dilagare di profughi e rifugiati (117 milioni nel 2023, giunti a 120 milioni nei primi sei mesi del 2024, dati UNHCR). Preparando le guerre, dunque, non si ottiene ovviamente la pace ma più guerre e più vittime in un perverso circolo vizioso, nel quale la prossima tappa – annunciata lo scorso 24 luglio dal nuovo capo di stato maggiore britannico Roly Walker – prevede la Terza guerra mondiale entro il 2027, per la quale bisogna… “prepararsi”. Altro che pace.
Del resto, la gravità dell’escalation bellica globale era stata descritta in un rapporto commissionato da Greenpeace in Germania, Italia e Spagna a un team di esperti sul riarmo dell’Europa, pubblicato lo scorso novembre, che non ha avuto – in coerenza con il sistema mediatico bellicista – la risonanza che avrebbe meritato, ma è stato ripreso dal recente ebook della campagna Sbilanciamoci, Economia a mano armata 2024. Spesa militare e industria delle armi in Europa e in Italia. Il rapporto dimostra non solo che nel decennio 2013-2023 le spese militari dei Paesi UE sono aumentate di quasi la metà, ma che la spesa per le armi nei paesi UE aderenti alla NATO è cresciuta quattordici volte più del loro Pil complessivo. Il rapporto mostra come tra il 2013 e il 2023 in Europa le spese militari abbiano registrato un aumento record (+46%) trainato proprio dall’acquisto di nuovi armamenti (+168%). Ma anche come le importazioni di armi della UE abbiano subito un’impennata, triplicandosi tra il 2018 e il 2022. Un simile aumento della spesa militare e dell’acquisto di armi, oltre ad essere un grave passo verso la militarizzazione dell’Europa, avviata ben prima dell’invasione russa dell’Ucraina, è in netto contrasto con la stagnazione delle economie europee. A cominciare da quella italiana.
All’interno di questo trend europeo, infatti, nonostante le difficoltà delle finanze pubbliche italiane, la spesa militare è cresciuta con un ritmo senza precedenti anche nel nostro Paese sottraendo crescenti risorse ai settori sociali, civili e ambientali. Nel periodo 2013-2023 la spesa militare in Italia – specifica il Rapporto – è aumentata del 30% e quella per i soli nuovi sistemi d’arma è passata da 2,5 miliardi a 5,9 miliardi di euro (+132%). Mentre, nello stesso periodo, l’investimento per la sanità è aumentato solo dell’11%, la spesa per la protezione ambientale del 6% e la spesa per l’istruzione appena del 3%. Un’economia di guerra che non ha, peraltro, alcun ritorno economico: “In Italia” – spiega il rapporto di Greenpeace – “1.000 milioni di euro spesi per l’acquisto di armi mettono in moto un aumento della produzione interna di soli 741 milioni di euro. La stessa cifra investita in altri settori ha invece un effetto moltiplicatore quasi doppio, con un aumento della produzione pari a 1.900 milioni di euro nella protezione ambientale, 1.562 milioni di euro nella sanità e 1.254 milioni di euro nell’istruzione. Uno scarto ancora maggiore si registra nell’impatto occupazionale dei 1.000 milioni di spesa, che nel settore della difesa sarebbe limitato a 3.000 nuovi posti di lavoro, mentre nel settore dell’istruzione sarebbe di quasi 14.000, più di 12.000 nella sanità e quasi 10.000 nella protezione ambientale”. Le guerre e la loro preparazione – mentre fanno impennare i profitti del complesso militare-industriale internazionale – non solo falciano le vittime e devastano i luoghi in cui si svolgono, non solo trasformano ogni conflitto in conflitto armato generando crescente insicurezza globale, ma impoveriscono e distruggono le prospettive di futuro anche nei paesi che, apparentemente, ne dovrebbero trarre profitto.
I dati pubblicati dal Rapporto SIPRI 2024, relativi all’anno precedente, fotografano una situazione in ulteriore peggioramento: la spesa militare mondiale ha raggiunto nel 2023 il record storico di 2.443 miliardi di dollari con una crescita del 6.8% in termini reali rispetto all’anno precedente, ossia un aumento netto in un solo anno di oltre 200 miliardi, che raggiunge quasi il totale dall’Aiuto pubblico allo sviluppo mondiale (ODA-Official Development Assistance) sempre nel 2023 (stimato a meno di 224 miliardi di dollari). All’interno di questa cifra astronomica la sola spesa militare statunitense è arrivata ai 916 miliardi di dollari, facendo di gran lunga la parte del leone nella spesa militare globale con il 37%: oltre tre volte quella della della Cina (al 12%), ed oltre 9 volte quella della Russia (al 4%). Mentre i Paesi NATO – che al vertice dei 75 anni hanno rilanciato l’obbligo per tutti i componenti di armarsi ancora fino al ritorno degli euromissili – nel loro insieme già nel 2023 hanno speso il 55% della spesa militare globale. In particolare, la spesa militare europea nel 2023 è aumentata del 16%: il più grande incremento annuale nella regione nel periodo successivo alla Guerra Fredda. Per quanto riguarda il nostro Paese, spiega Rete Italiana Pace e Disarmo, facendo una proiezione sull’anno in corso, la spesa militare italiana complessiva per il 2024 sarà di circa 28,1 miliardi di euro, con un aumento di oltre 1400 milioni rispetto al 2023. Una crescita derivante soprattutto dagli investimenti in nuovi sistemi d’arma: sommando i fondi della Difesa destinati a tale scopo con quelli di altri Dicasteri, nel 2024 per la prima volta l’Italia destinerà una cifra di circa 10 miliardi di euro su nuovi armamenti. “I dati diffusi dal SIPRI” – commenta RIPD – “dimostrano con ogni evidenza la dimensione epocale ed enorme degli aumenti decisi dai Governi a vantaggio dei propri eserciti e di conseguenza degli interessi economici del complesso militare-industriale-finanziario”. Una gigantesca riconversione al contrario, uno spostamento di enormi risorse dagli investimenti civili e sociali alle spese militari, già pienamente in corso, volto a raggiungere il 2% del PIL.
Inoltre, come se non bastasse la spesa annuale, il milex.org, l’Osservatorio che monitora la dinamica delle spese militari italiane, informa che da inizio Legislatura e fino ad ora il Ministero della Difesa Crosetto – ex presidente dell’AIAD-Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza di Confindustria, ndr. – ha trasmesso alle Commissioni Difesa del Parlamento per avere il loro parere, sempre favorevole, ventisette nuovi programmi militari per un onere finanziario pluriennale di 34,6 miliardi di euro. Di questi, quindici sono programmi di riarmo per un onere totale di 22,8 miliardi di euro e un impegno finanziario di circa mezzo miliardo sia per quest’anno che per il prossimo. A che scopo? Riarmare tutte le Forze Armate: per esempio – per citare solo i programmi con maggiore spesa pubblica – le forze terrestri si aggiudicano il programma più costoso (8,2 miliardi) per l’acquisto di circa 270 nuovi carri armati Panther prodotti della tedesca Rheinmetall e ‘customizzati’ per l’Italia da Leonardo. Le forze aeree, per non essere da meno, portano a casa il secondo programma più costoso: l’acquisto di 24 nuovi caccia Typhoon del consorzio Eurofighter di cui fa parte Leonardo (quasi 7,5 miliardi). Per quanto riguarda la flotta navale, c’è stato l’ok all’acquisto di due nuove fregate Fremm Evo (per 1,9 miliardi) in aggiunta alle dieci previste dal programma originario e l’ammodernamento elettronico delle due fregate classe Doria, sempre ad opera di Leonardo. Oltre ad una coppia di sottomarini U-212 (per oltre 1,2 miliardi).
Insomma, mentre l’ISTAT segnala i dati di crescente povertà assoluta nel nostro Paese, che colpisce ormai il 14% dei minori italiani – il valore più alto della serie storica dal 2014 – sul sito web di Leonardo, azienda di cui il Governo italiano è il principale azionista, che produce ormai per il 75% armamenti, si legge: “Nei primi tre mesi del 2024 prosegue l’ottima performance dal Gruppo già registrata nel 2023, con una solida redditività in tutti i segmenti di business, in ulteriore sensibile crescita rispetto al periodo precedente”, con un + 18,2% di ordini e un + 20,8% di ricavi. Ossia la conferma che le armi uccidono il futuro quando sparano, ma anche quando si accumulano, sottraendo risorse necessarie alla vita di tutti per arricchire i profitti di pochi produttori di strumenti di morte. Mentre preparano le prossime guerre, anche mondiali.
immagine di Mauro Biani