di Daniele Lugli per “Pollicino”, Legambiente Ferrara, novembre-dicembre 2002
Questo ci assicurano concordi calendario ed esperti. L’epifania tutte le feste porta via e la festa quelle vera (la festa-festa, come in tempo di guerra si diceva il caffè-caffè), è finita da un pezzo. Solo si sente più forte l’imperativo a consumare, per rendere sempre più stringente il comando a produrre nel tempo feriale. Un tempo che si è dilatato. Seicento anni fa più di un giorno su tre era festivo, se preferite, feriale. Jours fériés dicono ancora i francesi per indicare i giorni festivi e anche noi diciamo ferie per significare un periodo di vacanza. Feria prima era dunque la domenica (giorno del signore) secunda, tertia ecc. gli altri giorni della settimana. Alla domenica si festeggia il Signore, negli altri giorni un santo dedicandogli una fiera. Basta spostare un i, una metatesi se preferite, e la feria – oplà – diventa fiera. La festa, legata alla feria o fesia, è plurale, come credo, dal neutro festum o femminile, sostantivato, di festus (dies festa). Comunque troppo pochi erano i giorni dedicati al lavoro. Il protestantesimo vi pose rimedio eliminando le feste dei santi. Il cattolicesimo le ridusse certo, ma lo svantaggio tra marchandise catholique e marchandise protestante, osservato da Voltaire, non è ancora recuperato.
Lo sabbat: la prima festa
La prima festa, la madre di tutte le nostre feste, Adamo ed Eva corsero il rischio di non conoscerla e forse non la godettero appieno, avvertiti com’erano della cacciata dall’Eden. Secondo una dettagliata cronologia, ma ve ne sono altre, nella prima ora del sesto giorno Dio pensò di creare Adamo, nella seconda si consultò con gli angeli, nella terza raccolse la polvere necessaria, nella quarta lo foggiò, nella quinta lo rivestì di pelle, nella sesta lo mise ritto in piedi, nella settima gli insufflò l’anima. Tutte queste operazioni avrebbero riguardato con Adamo anche la prima compagna Lilit (maschio e femmina li creò). Adamo, separatosi prima di entrare nell’Eden all’ora ottava, ricevette in moglie Eva. Nella nona gli fu proibito il frutto, nella decima trasgredirono, nell’undicesima furono giudicati e nella dodicesima cacciati. L’esecuzione venne però differita allo scadere del settimo giorno, il sabato appunto. Il dono del sabato fu duplice, tecnico (il fuoco) ed escatologico (la promessa di un ritorno all’Eden, che la festa, ben osservata, permette di pregustare).
La festa è la grande allusione
Lo dice Aldo Capitini. E nelle feste mi è più facile leggere un suo testo, che assieme mi attira e mi respinge, La compresenza dei morti e dei viventi, assieme ai versi degli Atti della presenza aperta. Sarà perché nell’apertura della festa – come scrive Capitini – alcuni elementi della realtà attuale assumono un altro valore.
Il silenzio
Anzitutto il silenzio, come depuramento dei rumori soliti, come fiducia di trovare un ordine maggiore, una compostezza nuova, un orizzonte più largo: il silenzio è scelto, piuttosto che dire o eseguire un rumore che potrebbe essere indegno del sacro della festa; il silenzio è preparazione.
Un silenzio che dovrebbe preparare ad altro che a botti, invalidanti e mortali. Adulti disperati e incoscienti li producono per la gioia soprattutto dei fanciulli. Così potranno, almeno un poco, condividere il destino dei loro coetanei: i bambini soldato che nella boscaglia, ignari di gite turistiche e di play station, marciano, uccidono e muoiono in guerre vere. Sono tra Algeria, Angola, Burundi, Congo, Liberia, Ruanda, Sierra Leone, Sudan, Uganda, Birmania, Cambogia, Sri Lanka, Buthan, Iraq, Turchia, Iran, Palestina, Libano, Sudafrica, Perù, Colombia, Guatemala, Honduras, El Salvador, ex Jugoslavia.
I bambini
Secondo elemento: la presenza dei bambini, perché il loro crescere, la loro apertura, la loro novità e la loro certezza ci fa segno di una realtà liberata.
Siamo noi a incatenarli alla tivù. Secondo un recente studio sei bambini su dieci, sotto i dodici anni, guardano programmi pensati per grandi (si fa per dire), ma sono in calo del cinque e mezzo gli ascolti. C’è speranza e spazio per ripetere la promessa di Capitini: Ai fanciulli prometterò di giocare con loro perché so inventare. Da un rischio, che corriamo, ci salva l’affetto aperto ai bambini, come inizio nuovo: è segno di senilità per le persone e per le civiltà tornare sempre alla propria fanciullezza, mentre è segno di apertura affezionarsi ai bambini ora viventi: avete questi, e perché stare a rievocare, affranti e stupefatti, la vostra infanzia?
(La fotografia di Daniele è stata scattata a casa di due amici del Centro del Movimento Nonviolento di Ferrara, Stefano Manfredini e Paola Fagioli. La bimba nella foto è Irene, molti anni fa).