È passato un altro 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne indetta dalle Nazioni Unite. Abbiamo aggiornato il conto delle donne uccise (100 in una relazione di coppia e 39 gli uomini, ci sono poi le donne morte per mano di un familiare come nel caso di Saman Abbas che in questi giorni è tornato a far parlare di sé), il numero delle richieste di aiuto ai Centri Antiviolenza (19.600) o delle chiamate al numero verde dedicato 1522 (11.795). A voler giocare con la ricca messe di dati che Istat mette a disposizione si può scoprire qualcosa in più. Mi riprometto di farlo.
È passato un altro 25 novembre e le nostre città lo hanno celebrato inanellando conferenze, dibattiti, proiezioni di film, mostre, spettacoli, flash mob, presentazioni di libri e molto altro ancora. Il corale no alla violenza viene espresso ogni anno quantomeno dalle istituzioni e da chi già lo condivide. A stento sembra lambire quella parte in ombra dove la violenza si ripresenta senza guardare il calendario. Solo nella mia città, Ferrara, nella settimana della Giornata internazionale si sono registrate tre richieste di aiuto alle forze dell’ordine, una proprio il 25 novembre, intercettata per l’intelligenza dei carabinieri che hanno rintracciato la provenienza di una chiamata concitata, subito interrotta, e sono andati sul posto a capire cosa stava succedendo trovando una donna che correva fuori di casa con il corpo segnato. Italianissimi, peraltro, lei e lui.
Nei dati sui femminicidi si rileva un lieve calo. Apprendo da un buon opuscolo della Polizia di Stato che gli ammonimenti ai maltrattanti sembrano funzionare: tra gli oltre 7500 soggetti a cui è stato notificato un ammonimento per violenza domestica o atti persecutori dal 2020 ad oggi, uno si è poi reso autore di femminicidio ed è sempre troppo, ma è lo 0,01 per cento. (Gli ammonimenti, detto in parole povere, sono richiami da parte del Questore mossi da una segnalazione documentata e motivata, riscontrata dalle forze dell’ordine, e vengono prima della denuncia; la storia finisce lì se l’interessato si ferma, qualora seguissero altre violenze lo stalking diventerebbe perseguibile d’ufficio e le altre violenze sarebbero sanzionate più duramente).
A Roma il 24 novembre è stata presentata la relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio. Per la Rete D.i.Re (Donne in rete contro la violenza, che comprende 82 organizzazioni, 106 centri antiviolenza e 60 case rifugio in 19 regioni d’Italia) è intervenuta la presidente Antonella Veltri sottolineando che il fenomeno “non è emergenziale, non ha bisogno di misure securitarie, non ha bisogno di strumenti legislativi aggiuntivi, ma ha urgente necessità di essere affrontato tutte insieme, tutti insieme ognuna e ognuno dalla propria postazione e dal ruolo che occupa. Ciascuno nel ruolo che gli e le compete, riconoscendo saperi e pratiche di chi ha fatto sì da oltre 35 anni che del fenomeno si parlasse. E parliamo, quindi, di azioni di sistema, parliamo di azioni che muovono dalla consapevolezza che la violenza alle donne va riconosciuta come violazione dei diritti umani… È ben strano che si parli di “inclusione” delle donne, essendo le donne l’unica maggioranza trattata come una minoranza. Chi dovrebbe includerci? Chi dovrebbe rendere pari le opportunità della maggioranza? Usciamo da questo teatro dell’assurdo, in cui cadono anche a volte donne. Le donne non hanno bisogno di elemosine, né di vuote parole. Serve una strategia chiara che le renda libere”.
Sulle strategie si è interrogata Antonella Veltri avanzando critiche precise sull’ultima intesa Stato-Regioni ritenuta non pienamente soddisfacente. Ha sottolineato il divieto di mediazione nei casi di violenza opportunamente statuito dalla Convenzione di Istanbul, ha chiesto che venga riconosciuta la dignità dei Centri Antiviolenza esistenti da 35 anni e che i Centri per gli uomini maltrattanti siano sottoposti a verifica del loro operato.
In questo fine novembre ho avuto la possibilità di occuparmi di violenza sulle donne da diverse prospettive: delle donne, dei bambini che con loro la ricevono e degli uomini che la agiscono. Di questi ultimi ho parlato il 25 sera al teatro di San Lazzaro di Savena con Andrea Paolucci e Fabio Mangolini. Alla richiesta specifica di Juri Guidi, Assessore alla Cultura del Comune di San Lazzaro, condivisa con l’Anpi, per un’iniziativa che parlasse proprio degli uomini violenti, abbiamo risposto con “Le maschere della violenza di genere. Uomini di granito, uomini di bava e uomini di melassa”.
A margine delle letture che Fabio ha meravigliosamente interpretato – testi tra finzione e realtà in cui provo a dare voce a uomini diversamente violenti, scritti sulla base di centinaia di incontri nella giustizia minorile – ci siamo ritrovati, insieme al piccolo pubblico, a tentare di guardare in faccia la violenza, come donne, come uomini. Poca retorica, questo mi fa sempre bene. Assumere il punto di vista di chi commette azioni insostenibili (anche percosse, non necessariamente femminicidi) è un esercizio complicato. Si ha paura di concedere qualcosa alla violenza o di mancare all’abiura quando invece la condanna resta, insieme però al tentativo di comprenderne le radici, molteplici, e il significato che assume anche nella vita di chi la esercita. A volte la violenza è ciò che resta quando mancano le parole, vale a dire la possibilità e la capacità di stare a contatto con le proprie esigenze ed emozioni, di esprimerle, sapendo che la forza è proprio questo, maschi o femmine che siamo.
Molto mi piacerebbe che donne e uomini insieme potessimo fare nostre le parole con cui Antonella Veltri ha concluso il suo intervento nella capitale.
“Saremo in prima linea nell’evitare la restaurazione di un presunto ordine familiare che oscura e nasconde, relega e confina le donne in ruoli e posizioni che non rendono giustizia alla parità e alla libera scelta di ognuna di noi. Sappiamo bene che la famiglia tradizionale, frutto del patriarcato, è il teatro dove nell’80% dei casi si consuma la violenza nelle sue varie dimensioni e forme.
Saremo vigili, sapremo leggere le azioni – magari non frontali – che tenteranno di sabotare i diritti conquistati, perché teniamo tutte, abbiamo tutte a cuore la libertà e il desiderio di vivere nel rispetto delle diversità e della volontà di costruire comunità accoglienti di tutte le diversità”