Dopo decenni durante i quali l’8 marzo, Giornata internazionale delle donne, è stata trasformata nella commerciale “festa della donna”, al punto che la memoria dell’impegno antico e recente delle donne per i propri diritti – e delle stesse origini socialiste e di lotta della Giornata – è ormai per lo più sconosciuta alle ragazze e alle donne più giovani (che si vedono offrire mimose nei centri commerciali come fosse un sanvalentino qualunque) un cartello di associazioni internazionali ha voluto rilanciare la Giornata di lotta per i diritti delle donne e contro la violenza di genere. E’ la rete “Non una di meno” – nata in Argentina contro la violenza “machista” sulle donne che provoca nel paese latino-americano la morte di una donna ogni 30 ore – che si è rapidamente diffusa in tutto il mondo. Raccolta anche dalle referenti italiane che hanno lanciato, per l’8 marzo, insieme alla rete dei Centri anti-violenza, una serie di iniziative culminanti nello “sciopero globale delle donne”.
E’ una iniziativa opportuna perché, seppure il numero degli omicidi di donne in Italia da parte di uomini nel 2016 è leggermente diminuito rispetto al 2015, c’è un clima pesante di violenza “culturale” (nei media, sui social), “strutturale” (sul lavoro, nelle opportunità) e “diretta” (omicidi, maltrattamenti, stalking) diffuso e socialmente tollerato nei confronti delle donne che – costrette ad un ruolo di contorno e vassallaggio rispetto agli uomini – pare voler interrompere il processo di emancipazione portato avanti dalle donne nel ‘900. Ossia la più importante rivoluzione nonviolenta compiuta con successo in Occidente. Riprendere la lotta è quindi urgente e importante.
Tuttavia, poiché il tema all’ordine del giorno, oggi, non è tanto la conquista dei diritti da parte delle donne – sul piano giuridico ormai formalmente acquisiti – quanto il loro riconoscimento e la loro effettiva realizzazione, pratica e simbolica, non è sufficiente trasformare l’otto marzo in “lotto marzo”, ma è necessario lavorare quotidianamente, tutto l’anno, ad una nuova qualità delle relazioni di genere. E’ un tema che riguarda tutti, donne uomini, ma in particolare questi ultimi nei confronti delle prime. E’ una questione prevalentemente educativa: si tratta di formare le nuove generazioni alla nonviolenza nelle relazioni, dal piano affettivo a quello sociale. Ad una fuoriuscita liberatoria dagli stereotipi di genere, non solo ancora ampiamente dominanti ma spesso riaffermati prepotentemente anche con la violenza
Naturalmente si tratta di un percorso di lungo periodo, ma da avviare subito dalle istituzioni educative e formative, perché – a fronte di subculture razziste e sessiste che s’impongono sui media e nella politica – educare alla nonviolenza significa educare alla costruzione di positive relazioni tra i differenti, qualunque siano le differenze in gioco. A cominciare da quella tra il maschile e il femminile: in una società sempre più interculturale come la nostra, è la prima competenza necessaria per saper stare nella complessità. Anche in questo caso, l’alternativa è evidente: nonviolenza o barbarie.