• 18 Febbraio 2025 2:05

Le vittime delle vittime. Note sulla memoria centripeta e il genocidio impronunciabile

DiPasquale Pugliese

Gen 29, 2025

L’incredibile polemica del presidente della comunità ebraica milanese contro l’Anpi in occasione del Giorno della Memoria, accusata di usare il termine “genocidio” per descrivere i crimini commessi dal governo di Netanyahu contro i palestinesi, disertandone le celebrazioni comuni, ripropone il tema di fondo delle vittime di quelle che sono considerate le vittime per antonomasia. Ossia la definizione dello sterminio dei palestinesi di Gaza e l’uso politico da parte del governo israeliano (e delle comunità ebraiche internazionali che lo sostengono) della memoria della violenza subita dal popolo ebraico, la Shoah.

Ha esplicitato il cuore del problema la storica Anna Foa ne Il suicidio di Israele (2024): «L’uso cinico e spregiudicato che Netanyahu fa della Shoah ha messo a rischio anche quello su cui tanto si era costruito, per cui i testimoni dei campi hanno parlato nelle scuole con tutto il loro dolore, nel cui insegnamento, “mai più a nessuno”, volevamo costruire il nostro futuro. Come possiamo celebrare la memoria della Shoah oggi, senza parlare del 7 ottobre e di Gaza?» Il “paradigma vittimario” come elemento identitario dello Stato ebraico, spiega Anna Foa, nasce con il processo al gerarca nazista Adolf Eichmann, a partire dal quale la memoria della Shoah diventa parte integrante e fondante dello Stato: «Con questo processo, Israele si poneva come l’erede dei sei milioni di ebrei assassinati nella Shoah e si assumeva il ruolo di mantenerne la memoria».

Ma di che tipo di memoria si tratta? Secondo Nurit Peled-Elhanan, docente di lingua ed educazione all’Università ebraica di Gerusalemme, la memoria coltivata durante tutto il ciclo educativo delle scuole israeliane è una memoria “centripeta”: si tratta della costruzione di una memoria volta a sollecitare non solo, e non tanto, la compassione per le vittime e l’elaborazione del trauma, bensì – come esplicita la filosofa Roberta De Monticelli, commentando le parole di Peled-Elhanan – «l’assunzione identitaria dello stato di vittima sacrificale, che definisce il “noi” – e così paradossalmente sollecita l’othering, la discriminazione dell’altro come “non-noi” e potenzialmente minaccia mortale per “noi”» (Umanità violata. La Palestina e l’inferno della ragione, 2024). Qui sta la dimensione “centripeta” della memoria: quanto accaduto agli ebrei non deve più accadere “a noi”, non a “nessuno”. Anzi – ed è il corollario che si è dispiegato in questi mesi di massacri palestinesi – affinché non accada di nuovo a noi, se necessario, la violenza può essere trasferita su qualcun altro: se l’inaudita strage compiuta da Hamas il 7 ottobre 2023 è paragonabile all’Olocausto, allora qualunque reazione è legittima.

Questa operazione di sovrapposizione della memoria della violenza recente con quella passata, in funzione di legittimazione della violenza estrema esercitata dal governo israeliano, è stata accuratamente descritta anche da Naomi Klein nel reportage per The Guardian sulle celebrazioni israeliane del 7 ottobre 2024, ad un anno dalla strage: «E’ una favola semplice, che parla del bene contro il male, in cui Israele è innocente e merita un sostegno incondizionato, mentre i suoi nemici sono tutti mostri e non meritano altro che una violenza senza limiti e senza confini, che si tratti di Gaza, Jenin, Beirut, Damasco o Teheran. E’ una storia in cui l’identità nazionale di Israele si fonde per sempre con il terrore del 7 ottobre, un evento che, nella narrazione di Netanyahu, s’intreccia con l’Olocausto nazista e con la salvezza della civiltà Occidentale» (Israele usa il suo trauma come arma di guerra, Internazionale 18-24 ottobre 2024).

Il cortocircuito della storia ha fatto sì che un anno fa, alla vigilia del Giorno che le Nazioni Unite dedicano alla Memoria dell’Olocausto – il 26 gennaio 2024 – la Corte internazionale di giustizia adottasse le misure cautelari nei confronti dello Stato di Israele, accusato con ricorso del SudAfrica di violazioni della Convenzione contro il crimine di genocidio chiedendone – invano – di interrompere immediatamente tutte le violenze che, nel frattempo, hanno pienamente dispiegato gli intenti genocidari nei confronti dei palestinesi sotto i nostri occhi. Come certificato dal Comitato speciale ONU sui diritti umani dei palestinesi (14 novembre 2024), dai Rapporti di Amnesty International (5 dicembre 2024) e di Human Rights Watch (19 dicembre 2024), non a caso tutti accusati di antisemitismo dal governo israeliano. Allora, nel Giorno della Memoria, e in tutti i giorni precedenti e successivi, andrebbero rilette e meditate ovunque le parole di Primo Levi ne I sommersi e i salvati: “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte e oscurate: anche le nostre”. Tutte le coscienze, anche quelle degli eredi delle vittime dell’Olocausto, alcuni dei quali hanno impunemente riprodotto un impronunciabile genocidio.

Di Pasquale Pugliese

Pasquale Pugliese, nato a Tropea, vive e lavora a Reggio Emilia. Di formazione filosofica, si occupa di educazione, formazione e politiche giovanili. Impegnato per il disarmo, militare e culturale, è stato segretario nazionale del Movimento Nonviolento fino al 2019. Cura diversi blog ed è autore di “Introduzione alla filosofia della nonviolenza di Aldo Capitini” e "Disarmare il virus della violenza" (entrambi per le edizioni goWare, ordinabili in libreria oppure acquistabili sulle piattaforme on line).