L’Italia fa anche meglio degli altri nella produzione industriale. L’Istat conferma, dati alla mano, la crescita del Pil nel secondo trimestre di quest’anno e afferma: “in Italia le aspettative di crescita per i prossimi mesi appaiono favorevoli”. Preoccupano però le aziende non in salute, che assorbono aiuti e investimenti al posto delle sane. Sopravvivono con prestiti che non riusciranno a ripagare. Sono zombie che non dobbiamo alimentare, le crisi bancarie lo avrebbero dimostrato. Per evitare la loro malvagia sopravvivenza misuriamone l’EBITDA (Earnings Before Interests Taxes Depreciation and Amortization), il Margine Operativo Lordo cioè, e agiamo di conseguenza, senza preoccuparci della sorte degli occupati.
Molta gente però sta di male in peggio, anche in Italia. Sempre l’Istat ci dice che in Italia ci sono 5 milioni di poveri assoluti, che non hanno cioè quanto è “essenziale a uno standard di vita minimamente accettabile”, e 8 milioni e mezzo di poveri relativi, sotto la linea di povertà, che si ottiene, sostanzialmente, dimezzando il reddito medio. La cosa non sembra preoccupare molto né politici né economisti. Dai tempi di Ernesto Rossi, morto 50 anni fa, dal suo “Aboliamo la miseria!” (pensato e scritto in prigionia, 1942, e meritoriamente ripubblicato), nessuno si è più misurato sul tema, rifacendo i precisi calcoli, come aveva fatto lui, rilanciando e migliorando le sue proposte. L’idea è l’abolizione della miseria fornendo gratuitamente beni e servizi essenziali alla vita civile. La loro produzione sarebbe affidata a un servizio civile, questo sì veramente universale, di ragazze e ragazzi formati in tal modo alla cittadinanza. Alla scuola, gratuita per tutti e in tutti i gradi e al servizio sanitario pubblico, ritenuti indispensabili da Rossi, si sarebbe aggiunta la fornitura gratuita a tutti i richiedenti di alloggi popolari, vitto e vestiario. Altro che reddito minimo garantito!
Di una cosa mi sono convinto: per procedere bisogna muovere prima il piede che sta dietro. Provare per credere. Ecco perché è essenziale che chi sta peggio migliori le sue condizioni. Se no, non c’è progresso, ma solo divaricazione, privilegio, esclusione. Quando si decise l’abolizione della schiavitù (non è finita, in forme diverse ritorna, ma sembra un po’ meno accettata come naturale) si dubitò del funzionamento di un’economia che ne facesse a meno. Abbiamo fatto bene a proclamarla illegale: è stato un passo importante per la sua concreta abolizione. Così c’è chi propone “Dichiariamo illegale la povertà” sulla base di dodici principi. Li cito solo, sono meritevoli ciascuno, e nell’insieme, di meditazione e approfondimento:
Nessuno nasce povero né sceglie di essere o diventare povero
Poveri si diventa. La povertà è una costruzione sociale
Non è solo né principalmente la società povera che produce povertà
L’esclusione produce l’impoverimento
In quanto processo strutturale, l’impoverimento è collettivo
L’impoverimento è figlio di una società che non crede nei diritti di vita e di cittadinanza per tutti né nella responsabilità politica collettiva per garantire tali diritti a tutti gli abitanti della Terra
I processi d’impoverimento avvengono solo in società ingiuste
La lotta contro la povertà (l’impoverimento) è anzitutto la lotta contro la ricchezza inuguale, ingiusta e predatrice (l’arricchimento)
Il pianeta degli impoveriti è diventato popoloso a causa della mercificazione dei beni comuni e della vita
Le politiche di riduzione e di eliminazione della povertà perseguite negli ultimi quarant’anni sono fallite perché non potevano che attaccare i sintomi (misure curative) e non le cause (misure risolutive)
La povertà è oggi una delle forme più avanzate di schiavitù perché basata su un furto di umanità e di futuro
Per liberare la società dall’impoverimento bisogna mettere fuorilegge le leggi, le istituzioni e le pratiche sociali collettive che generano ed alimentano i processi d’impoverimento
È una campagna che merita di essere più conosciuta. Va avanti da anni con il dichiarato obiettivo “di ottenere nel 2018 (70° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo delle Nazioni unite) una risoluzione dell’Assemblea Generale dell’Onu con la quale gli Stati dichiarano illegali le leggi, le istituzioni e le pratiche sociali e collettive che generano e alimentano i processi di impoverimento nei vari paesi e regioni del mondo. Sarà come fu allorché i vari popoli dichiararono illegale la schiavitù”.
Facile constatare che l’obiettivo non sarà raggiunto. Questo non lo rende meno necessario come orientamento all’azione. Amici della nonviolenza potrebbero dare un contributo, se è vero che, diceva Aldo, la nonviolenza è il punto di tensione più profondo per il sovvertimento di una società inadeguata. Riccardo Petrella e Bruno Amoroso hanno curato un libro, “Liberare la società dall’impoverimento”. L’hanno appena presentato a Bolzano. Il titolo richiama l’opera di Ernesto Rossi. Chi vuole conoscere di più dell’iniziativa può consultare, anche on-line, una bella rivista, “Inchiesta”. Me l’hanno fatta conoscere due maestri a me cari, Mario Miegge e Alberto L’Abate. È anche nel loro ricordo che ne propongo la lettura.