È un motivo per essere orgogliosi della possibile, nuova patria per alcuni di loro e di un impegno comune perché siano realizzate le promesse di quel testo.
È il risultato di una stagione straordinaria dell’immediato dopoguerra: Carta dell’Onu nel 1945, Costituzione italiana e Dichiarazione universale dei diritti umani nel 1948. La guerra fredda, con punte di calore, che ne seguì ha impedito lo sviluppo dei solenni impegni allora assunti.
“Noi popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità, a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole, a creare le condizioni in cui la giustizia ed il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati e dalle altri fonti del diritto internazionale possano essere mantenuti, a promuovere il progresso sociale ed un più elevato tenore di vita in una più ampia libertà, e per tali fini a praticare la tolleranza ed a vivere in pace l’uno con l’altro in rapporti di buon vicinato, ad unire le nostre forze per mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ad assicurare, mediante l’accettazione di principi e l’istituzione di sistemi, che la forza delle armi non sarà usata, salvo che nell’interesse comune, ad impiegare strumenti internazionali per promuovere il progresso economico e sociale di tutti i popoli, abbiamo risoluto di unire i nostri sforzi per il raggiungimento di tali fini”.
Così a San Francisco il 26 giugno 1945 è approvato lo Statuto dell’ONU da 50 paesi primi firmatari. Mano a mano sono ammessi gli altri, come l’Italia nel 1955. Ora credo siano 193 stati del mondo su un totale censito di 206.
Il diritto internazionale vincolante tutti gli Stati è dunque contro il “flagello della guerra” e impegna a “vivere in pace l’uno con l’altro in rapporti di buon vicinato, ad unire le nostre forze per mantenere la pace e la sicurezza internazionale” per cui “la forza delle armi non sarà usata, salvo che nell’interesse comune”. Gli Stati sono tenuti ad esercitare i loro poteri per garantire i “diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne” al loro interno e a “impiegare strumenti internazionali per promuovere il progresso economico e sociale di tutti i popoli”. Non sono più “sovrani” ovvero non pretendono di non riconoscere nessuno sopra di loro e disporre di pieni poteri nei confronti dei propri cittadini. Si è affermato invece che ogni persona ha diritti fondamentali. Lo Stato li deve tutelare e garantire. Così la “sovranità” è limitata all’interno. Il divieto della guerra, l’invito a “promuovere il progresso economico e sociale di tutti i popoli” limita la cosiddetta “sovranità” anche all’esterno.
In Italia questi principi sono stati posti in Costituzione, nella madre di tutte le leggi, come fondamentali.
L’articolo 1 “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” ci dice che a fondamento della Repubblica sta il lavoro, non il sangue, la lingua o altro e aggiunge che il popolo è “sovrano”, tenuto a esercitare il suo potere “nelle forme e nei limiti” che risultano chiari dagli altri principi.
L’articolo 2 infatti – “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” – non solo dichiara inviolabili i diritti, ma impegna a garantirne l’esercizio. Indica anche la condizione perché ciò avvenga: ciascuno compia il proprio dovere di solidarietà in ogni campo. I ragazzi colgono subito che l’assenza di solidarietà toglie ai diritti la loro base per esistere in concreto.
Con l’articolo 11 “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Il rifiuto della guerra è dunque un dovere costituzionalmente garantito espresso con una parola forte – “ripudio” – sulla quale ci soffermiamo. E allora il Servizio civile, che stanno praticando, trova un collegamento con l’obiezione di coscienza, che questo Servizio ha originato, non solo nella storia ma nella loro esperienza. E poi si parla esplicitamente proprio di quelle “limitazioni di sovranità necessarie” delle quali abbiamo già parlato e se ne vede il carattere non di limitazione, ma di conquista perché costruttrice di pace.
A questo punto però c’è come una svolta. Gli articoli seguenti parlano di “cittadini” e molto del discorso sui diritti fondamentali che ti spettano in quanto persona sembra perdere consistenza. La cittadinanza diviene elemento di divisione, di diseguaglianza, di esclusione. Emergono perplessità. Il tempo dell’incontro è finito. Ne occorre almeno un altro per affrontare le domande che affiorano.
Una prima risposta è che con l’articolo 2 sono stati costituzionalizzati “i diritti inviolabili” e perciò sicuramente quelli individuati dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, con tutti i suoi trenta articoli. Questo vuol dire che la nostra Costituzione riconosce a ogni persona – quale che sia la sua cittadinanza – dignità, eguaglianza, libertà e fraternità e, almeno, il diritto alla vita senza schiavitù e torture, uguaglianza davanti alla legge con la presunzione di innocenza, libertà di movimento, di pensiero, di espressione, di coscienza e religione. In particolare l’articolo 13 stabilisce la libertà di emigrare e l’articolo 14 il diritto di cercare e ricevere asilo in un altro Paese, dovendo abbandonare il proprio.