I popoli che vivono in condizioni naturali e climatiche difficili, sviluppano spesso un senso di comunità molto profondo. Capiscono che come singoli non potrebbero sopportare le forze della natura e si uniscono per aiutarsi, per poter vivere insieme, piuttosto che morire da soli. Agiscono in modo simile ai pinguini imperatore dell’Antartide che, quando soffia il vento ghiacciato, si riuniscono in un cerchio concentrico al cui centro ci sono i più piccoli e i più deboli, mentre gli altri si alternano negli anelli più o meno esterni: nessuno può stare troppo a lungo nel cerchio esterno che fa da schermo al vento, perché assiderebbe e crollerebbe, ma se gli adulti si alternano nei primi cerchi possono farcela.
Alle avversità naturali, su questo pianeta, spesso si associano le calamità provocate dagli uomini: le guerre, le persecuzioni razziali, religiose, di genere, d’opinione, la distruzione degli habitat naturali, la riduzione in povertà e, spesso, in semi-schiavitù di larghi strati della popolazione.
Allora solidarietà interna e lotta convinta ed unitaria sono un binomio e un intreccio indispensabile. Ovunque sia possibile, lo fanno.
Lo fanno gli Yanomani dell’Amazzonia, per fermare l’avanzata delle Company del legname e dell’allevamento, lo fanno i Tibetani che cercano di resistere all’etnocidio cinese, lo fanno i Curdi, circondati da Stati totalitari e militarizzati, che non accettano la loro cultura e la loro fiera esistenza. Lo fanno da lunghi decenni i palestinesi, soffocati dall’apartheid in territorio israeliano e sistematicamente repressi. I Navajos e i Lakota ricercano il loro senso di comunità e le loro radici per affrontare la lotta contro l’inquinamento delle miniere di uranio nelle loro riserve, negli Stati Uniti. E che dire degli Aymara della Bolivia che si riuniscono ancora in cerchio per prendere le decisioni, dei Quechua del Perù che lottano contro una dittatura infinita, dei Mapuche del Cile, cui vengono ancora sottratti territori ancestrali per gli appetiti energivori delle multinazionali?
Tutti questi popoli e tanti altri che non ho nominato, praticano la solidarietà, dal Chiapas ai territori sacri degli aborigeni australiani. Il senso di solidarietà reciproca accomuna i popoli meno “contaminati”, ricordandoci le virtù del confronto, dell’accoglienza, dell’aiuto, oggi sempre più rare e nascoste.
Anche il popolo sardo, per quanto molto esposto ai processi di omologazione culturale, attraverso l’industria del turismo sia di massa che di élite, ha ancora, almeno in parte, conservato lo spirito di accoglienza e di rispetto, il senso della comunità e del soccorso verso i più deboli, un equilibrio sociale e insieme naturale: il difendersi insieme dalle avversità. Per quanto sia necessario precisare che questa cultura del mutuo appoggio presenti numerose crepe, di fronte alla realtà pressante. Possono convivere natura e inquinamento? Turismo ed esercitazioni militari? I gommoni, le canoe e le barche a vela con le portaerei da combattimento? I bagnanti con i liquami delle industrie petrolchimiche? La salute dei cetacei e le pale eoliche offshore? Come può coesistere, sul cammino escursionistico e religioso di “Santa Barbara”, una fabbrica di ordigni bellici?
Penso si tratti di contraddizioni insanabili, il cui esito, in tempi medio-brevi, rischia di portare la nostra isola ad un inquinamento massivo, con sempre maggiori danni sulla salute della popolazione e dell’ambiente, con il conseguente crollo anche dell’economia turistica e dell’agroalimentare. Oltre al rischio di diventare obiettivo sensibile, nel caso di un coinvolgimento diretto della NATO in una guerra contro la Russia.
Questo vale non solo per la Sardegna, ma per tutti i territori colonizzati, depredati ed usati dalle grandi potenze economiche e politico-militari.
Per continuare a resistere davanti a forze finanziarie molto più forti, capaci di essere violente e repressive, oltre che sinuose e suadenti, e tutelare il proprio territorio, i popoli oppressi devono scegliere. Non possono prescindere da proteggere la propria cultura, arte, lingua, memoria, da rinsaldare e rinnovare i legami comunitari, perché solo una forte coesione identitaria (che sia insieme apertura al mondo) unita ad un progetto costruttivo, può salvarli dall’omologazione. Le lotte per i diritti e la salvaguardia della natura, sulla Terra, hanno bisogno di tutte queste energie, diverse, uniche, creative, indispensabili all’equilibrio.
Carlo Bellisai, 2023