La pubblicazione prosegue on line diretta da Beniamino Bonardi, e Segre collabora tuttora con propri articoli. Ricordo bene il suo vigoroso intervento, pochi anni fa, al Congresso nazionale del Movimento Nonviolento a Torino, la sua città.
L’articolo incriminato, “Rousseau, una distorsione paradossale della democrazia”, è del novembre 2019 a firma di Riccardo Rossotto, uno dei 18 promotori del rilancio della storica, quanto modesta – per formato e diffusione – pubblicazione. Rossotto è persuaso che L’INCONTRO possa continuare a essere “un riferimento per quella comunità dei lettori o sostenitori che vorranno nel loro tempo libero avere uno strumento per decifrare meglio l’attualità non lasciandoci convivere soltanto con la propaganda, la manipolazione o le fake news che infestano le nostre giornate”. È un’esigenza che spero in molti condividano. Non ha dubbi al riguardo l’avvocato Bruno Segre. “La denuncia di Davide Casaleggio (che mi sembra del tutto infondata) dimostra che L’INCONTRO che ho fondato e diretto per settant’anni continua la sua tradizione di rivista indipendente che ha lo scopo di informare il pubblico su tutti gli aspetti della realtà politica che ci circonda, anche quelli critici affrontati nell’articolo. Mi sorprende che il denunciante non si renda conto che fra i diritti civili di libertà, quello relativo alla libertà di stampa è fondamento e garanzia di ogni ordine democratico”.
Grande uomo e grande avvocato è infatti Segre, antifascista e partigiano, difensore degli obiettori di coscienza nel dopoguerra, a partire dalla difesa di Pietro Pinna proprio nel 1949 di fronte al Tribunale militare. Il processo è occasione dell’esordio de L’INCONTRO, un mensile che riprende in pieno lo spirito dei Centri di Orientamento Sociale promossi da Capitini. Difensore è pure Agostino Buda, infaticabile corriere della stampa clandestina nel periodo antifascista e costruttore di relazioni per il movimento liberalsocialista. Testimoni, in verità poco ascoltati, sono Aldo Capitini, Umberto Calosso, Edmondo Marcucci. Il processo pone però per la prima volta la questione dell’obiezione all’attenzione del Parlamento. Seguiranno obiezioni, processi e condanne, manifestazioni e iniziative politiche fino al primo riconoscimento dell’obiezione di coscienza nel 1972. Qualcuno, non io, scriverà di Segre in modo adeguato. Io decido intanto di procurarmi il libro “Non mi sono mai arreso”, che promette di raccontarne la storia. Ritrovo qualche stropicciato ricordo del processo dell’amico Pietro Pinna, per me fortemente legato a Segre. Ricordo pure che nel 1967, promuovendo una piccola pubblicazione – apprezzata da Capitini – che non riuscì a diventare periodico, avevo pensato a un rapporto proprio con L’INCONTRO. Allora lo leggevo e ho continuato, seppure saltuariamente, a leggerlo. Proseguirò la lettura on line.
Non so che fondamento abbia la denuncia di Casaleggio. Ho letto l’articolo, che appare documentato e argomentato. Sembra richiedere più una confutazione nel merito che una denuncia. Da Capitini – non solo da lui, ma molto da lui – ho tratto la persuasione che gli istituti democratici costituzionali vanno difesi, attuati pienamente, migliorati. Una partecipazione consapevole e impegnata ne è una precondizione. Non ci sono scorciatoie. A Capitini l’assetto democratico dell’Italia, e non solo, appariva profondamente inadeguato. Ha dedicato il suo ultimo, non rifinito, scritto al potere dal basso, al potere di tutti, alla trasformazione della democrazia in omnicrazia: potere di tutti e di ciascuno. Recentemente è stato ripubblicato nelle edizioni Il Ponte: “Attraverso due terzi di secolo – Omnicrazia: il potere di tutti”
Il testo si apre ricordando il progresso compiuto nello stabilire il fondamento dell’autorità nel consenso della collettività espresso “nella solennità della loro libera assemblea deliberante (Rousseau)”. Mi sono care le assemblee. Soprattutto quelle nello spirito dei Centro di Orientamento Sociale, promossi da Capitini alla Liberazione di Perugia e diffuse poi in molte città. A Ferrara c’è stato un esempio particolarmente importante. Il loro motto era “ascoltare e parlare”. L’ascolto viene necessariamente prima e favorisce “l’incontro” sincero tra le persone, “aiuta ad essere onesti e competenti, anche chi stenta a diventarlo”.
Si reimpara “che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia”.
Ha ragione don Milani. E comunque da soli non se ne esce proprio. Sono fondamentali dunque assemblee, spazi nonviolenti e ragionanti, per costruire un’opinione pubblica aperta e informata. Piattaforme tecnologiche possono assisterle, non distorcerle o sostituirle. Nello scritto dedicato a omnicrazia o potere di tutti c’è un capitolo intitolato “L’assemblea”. Andrebbe letto e meditato, anche per il rapporto esaminato tra assemblee e opinione pubblica. Aiuta a comprendere il detto che Capitini pone, tra i “Punti chiariti” al termine dello scritto: “Per trasformare la democrazia in omnicrazia vi sono due elementi: le assemblee e l’opinione pubblica”.
La verità non è alla nostra portata. Pericolosissimo anzi è pensare di possederla. Quello che possiamo fare è praticare la “non menzogna”. È già un compito difficilissimo che richiede un impegno strenuo e continuo. L’ha vissuta e praticata Bruno Segre. Dice: “Vorrei essere ricordato come una persona che si è sempre opposta a tutti i tentativi di prevaricazione, d’imposizione forzata in sede politica o religiosa. Sul mio sepolcro vorrei il motto di Saul Bellow: “Qui giace un vinto – dalla morte – che non si è mai arreso”. Chi non si arrende non è mai vinto.