“Come sempre, si tratta per un verso di riconnettere le parole alle cose, e per altro di recuperare il senso perduto di parole come “lotta”, “sciopero”, “resistenza”, “dignità“, “democrazia”.
Ma anche “nemico”, “servo” e “crumiro”: parole disgustose all’udito e alla lingua, perché disgustosi alla vista e all’olfatto sono gli oggetti che esse designano, e che non valgono forse il valore di uno sputo.”
La frase sopra è tratta da uno straordinario articolo di Girolamo De Michele che potete leggere per intero sul sito: Euronomade.
La condivido e mi serve per rinforzare, semmai ce ne fosse bisogno, la proposta rabbiosa di riappropriarci delle parole, del loro senso, della loro storia.
È dentro le parole che usiamo che c’è il nostro mondo.
Soprattutto in questo momento noi (insegnanti, collaboratori, assistenti, cittadini che difendono la scuola pubblica e la Costituzione), abbiamo un grande bisogno di combattere la demagogia di Matteo ‘enzi provando a spiegare alle famiglie, con le parole più semplici possibili, in che cosa non ci piace la cosiddetta “buona scuola”.
Non è facile ma è un compito necessario ed indispensabile, che dobbiamo fare bene, con cura ed impegno.
Ecco perché, prima dello sciopero del 5 maggio, insieme ai colleghi e alle colleghe distribuiremo ai genitori della nostra scuola la lettera che trovate in allegato.
Si può personalizzare, modificare, firmare, se ne possono scrivere altre, si possono distribuire davanti alle scuole, si possono inviare ai giornali, insomma si possono diffondere al fine di creare momenti di incontro, di informazione seria e di vero confronto.
Comunque facciate il compito, buona lettoscrittura.
Cari studenti e cari genitori,
vorremmo provare a spiegarvi i motivi che ci hanno fatto scegliere di scioperare il 5 maggio 2015.
Possiamo immaginare che una giornata in cui la scuola è chiusa possa causarvi un disagio ma ci piacerebbe vi fosse chiaro che non siete voi la nostra controparte e non intendiamo mettervi in difficoltà.
Al contrario, vorremmo farvi capire le nostre ragioni e ricordarvi che lo sciopero, oltre che una forma di protesta, è anche un sacrificio per chi vi aderisce.
Infatti quando si protesta non andando al lavoro si perde lo stipendio di quella giornata; quindi chi decide di scioperare è come se pagasse direttamente per manifestare il proprio disaccordo.
Sui volantini dei sindacati potrete trovare i motivi dello sciopero e noi protestiamo per quei motivi ma anche perché crediamo che le proposte del Governo, in discussione in questi giorni, siano contrarie a quelle necessarie a creare davvero una “buona scuola”.
Se verranno approvate le proposte presentate, il senso della scuola pubblica (così come previsto dalla nostra legge più importante che è la Costituzione della Repubblica Italiana) verrebbe completamente alterato.
In questa lettera non vi parleremo di come potrebbe cambiare il nostro lavoro, ma di come potrebbe cambiare la scuola per le famiglie e per gli alunni.
Vi sarete accorti che, da qualche anno, chi parla di scuola lo fa come se parlasse di un negozio, di un’azienda, di una fabbrica. Ci sono le “offerte” formative, si cerca di “risparmiare” razionalizzando, i responsabili sono i “dirigenti” e non più i presidi, le scuole si fanno “pubblicità” sui giornali, i “profitti” degli alunni sono valutati con i test; perfino il termine “competenza” è spesso avvicinato al significato della “competizione”, cioè di una gara, e non interpretato nel suo senso originario che è “andare insieme” o ancor meglio “arrivare ad uno stesso punto”.
È molto importante fare attenzione alle parole che si usano e che vengono usate, e sarebbe davvero bello se ognuno “assomigliasse alle parole che dice “.[1]
La scuola non è un supermercato o un’azienda dove ognuno può essere illuso dalla pubblicità e poi comprare ciò che desidera; “la scuola è un organo costituzionale “[2] che ha il compito di istruire facendo acquisire conoscenze e competenze, di far crescere e formare cittadini valorizzando la loro persona nel rispetto delle differenze e delle identità di ciascuno e di ciascuna.[3]
La nostra Repubblica ha il compito di “dettare le norme generali sull’istruzione ed istituire scuole statali per tutti gli ordini e gradi.” [4]
Questi compiti assegnati alla scuola pubblica sono costosi, sia nel senso economico che dell’impegno ma, come recitava uno slogan di qualche anno fa, l’ignoranza costa molto di più.
I costi per mantenere la scuola sono pagati dalle tasse che ciascuno dei cittadini italiani paga (o dovrebbe pagare).
Quando si legge su piano della “Buona Scuola” che “Le risorse pubbliche non saranno mai sufficienti a colmare le esigenze di investimenti nella nostra scuola” vuol dire che non ci saranno maggiori investimenti pubblici (infatti c’è scritto che “i limiti saranno quelli delle risorse disponibili ”) ma che si chiederanno soldi ai privati cittadini.
In definitiva le famiglie, che già contribuiscono in maniera importante, pagheranno molto di più anche perché sul piano della cosiddetta “Buona Scuola” sono previsti: l’entrata di “sponsor” che condizioneranno i programmi ed i piani dell’offerta formativa, il finanziamento delle scuole private ed il versamento di parte del proprio contributo fiscale per finanziare i progetti scolastici.
In televisione è stato detto che sarebbero stati assunti molti insegnanti precari che avrebbero risolto il problema dei supplenti; poi però, quando è stato il momento giusto per assumerli, il Governo non lo ha fatto e, per farlo in misura inferiore a quella necessaria, ha preteso in cambio una delega su 13 fondamentali aspetti della scuola. In pratica è come se qualcuno dicesse: “Assumerò una parte degli insegnanti solo se poi posso decidere da solo come trasformare la scuola“.
In televisione è stato detto che è ridicolo che qualcuno protesti contro un governo che assume gli insegnanti precari ma non si è detto che, in realtà, il nostro Paese è stato condannato dalla Corte di Giustizia Europea ad assumerli perché erano già stati impiegati per il periodo giusto a maturare il loro diritto di lavorare stabilmente.
In televisione non si dice che l’integrazione degli alunni con disabilità sta per assumere un carattere sempre più sanitario e meno scolastico; in tal modo il personale di sostegno sarà sempre di meno, i centri specializzati sempre di più e si realizzerà quel processo di separazione fra alunni cosiddetti normali ed altri cosiddetti con Bisogni Educativi Speciali che non aiuterà a migliorare la scuola dell’inclusione.
È facile prevedere cosa accadrà nel giro di pochi anni: si moltiplicheranno le scuole private per chi potrà permettersele, si creeranno le scuole pubbliche di lusso nei quartieri bene delle città e si moltiplicheranno le scuole pubbliche senza risorse e senza speranza nei quartieri popolari e nelle periferie povere. Scuole di serie A e scuole di serie B, scuole per ricchi e scuole per poveri. Un salto indietro di decenni. Cresceranno le disuguaglianze in modo drammatico, di nuovo accadrà che i figli dei dottori faranno i dottori mentre i figli degli operai faranno gli operai.
Non è una “buona scuola” quella nella quale si creeranno sempre più momenti di separazione, di competizione, di conflittualità; non lo è quella dove un dirigente da solo, sulla base di criteri arbitrari, deciderà di distribuire gli insegnanti come e dove gli pare; non lo è quella dove le decisioni verranno condizionate dalle aziende; non lo è nemmeno quella dove le “buone scuole” saranno finanziate solo se le stesse otterranno un buon risultato nei test; non lo è infine quella dove il contributo dei genitori è più alto dei contributi statali.
È contro questo simile progetto di scuola che manifesteremo il nostro dissenso.
Noi pensiamo che una buona scuola sia quella dove ci sono edifici sicuri, dove le classi siano composte da un massimo di 22 alunni, dove si impara insieme sentendosi attivamente parte di una comunità, dove si lavora in modo cooperativo, dove si sperimentano concretamente forme di democrazia.
Nel bellissimo film “Gli anni in tasca” di Francois Truffaut il maestro Richet parla ad i suoi alunni, prima delle vacanze, dicendo loro: “Il mondo non è giusto e forse non lo sarà mai, ma è necessario lottare perché ci sia giustizia, bisogna, bisogna farlo: le cose cambiano, ma lentamente; le cose migliorano, ma lentamente…. E i cambiamenti si ottengono solo reclamandoli energicamente…“
Crediamo in queste parole come crediamo in un’altra scuola e quindi in un’altra società: solidale, inclusiva, pacifica.
Non investire sulla scuola è grave per il futuro dei vostri e dei nostri figli.
I veri problemi della scuola andrebbero affrontati seriamente garantendo partecipazione, dialogo, confronto, ascolto, rispetto delle persone, delle loro capacità, abilità e competenze.
Siamo a disposizione per confrontarci con chiunque lo desideri e per eventuali richieste di materiale utile ad una corretta informazione.
Ringraziandovi per l’attenzione, Vi chiediamo di aiutarci a difendere la vostra scuola, la nostra scuola.
Comitati a sostegno della
Legge di iniziativa popolare
per una buona scuola per la Repubblica *
* La legge di iniziativa popolare “Per una buona scuola per la Repubblica” è una proposta di legge del 2006 ancora attuale, aggiornata e ripresentata sia al Senato che alla Camera da parlamentari di forze politiche diverse. Questa legge non ha la presunzione di interpretare, nel suo contenuto, il sentire di tutto il paese, ma vuole essere una traccia concreta e strutturata sulla quale avviare un serio confronto sulla scuola con la convinzione che il metodo da seguire per avviare un cambiamento non possa che essere partecipato e condiviso.
Info: http://lipscuola.it/
Scarica il testo della lettera in formato Pdf
[1] Il riferimento è ad una frase dello scrittore Stefano Benni: “Bisogna assomigliare alle parole che si dicono. Forse non parola per parola, ma insomma ci siamo capiti.”
[2] Lo ha detto Piero Calamandrei, uno dei padri della Costituzione.
[3] Vedi anche la Legge di Iniziativa Popolare per una Buona Scuola per la Repubblica (LIP).
[4] Vedi l’art. 33 della nostra Costituzione