Immagino gli eserciti nella seconda guerra mondiale che si fronteggiano in quel campo: i tedeschi che si ritirano e le varie truppe del Commonwealth che passano al setaccio il terreno.
Chissà se nel lontano dicembre ‘44 dei genieri inglesi saranno passati di qui per scovare ordigni pericolosi prima dell’avanzare delle truppe.
Alcune case avranno certamente visto il passaggio sia dei tedeschi che, dopo, delle truppe Alleate, tra la paura della popolazione che li “ospitava”.
Il fatto ineludibile che mi rimbalza di questa storia – mentre dopo 76 anni si rilevano un gran numero di schegge nel terreno – è che la nostra zona è stata oggetto di pesanti bombardamenti da parte degli aerei Alleati.
La prima riflessione che mi viene in mente è che, per quanto ce ne vogliamo liberare, anche le guerre passate non si cancellano perché lo vogliamo noi, ma rimangono delle evidenti eredità che ci stanno a testimoniare le sofferenze e la pericolosità di quei tempi in cui nessuno poteva dire se fosse stato al sicuro, se sarebbe sopravvissuto.
I nostri padri e le nostre madri, i nostri nonni e le nostre nonne, possono testimoniare che vivere o morire era questione di scelte quotidiane, di trovarsi in quel posto anziché in un altro, in un momento anziché in un altro.
Ricordo che mia madre mi disse che il suo primo marito, Appuntato dei Carabinieri di scorta a un generale, in virtù della sua anzianità aveva scelto come licenza gli ultimi 15 giorni di agosto per dare una mano in campagna per la raccolta del grano.
Lui fu catturato dai tedeschi dopo l’8 settembre del ‘43 e morì in un campo di concentramento; gli altri, che erano in licenza i primi 15 giorni di settembre, si salvarono.
Parlare quindi di sminamento nel 2021 può sembrare paradossale o anacronistico, ma certamente colpisce il mio immaginario, che un terreno a vocazione agricola, per essere convertito in zona residenziale, vada prima sminato.
Quindi la storia che vorremmo cancellare, perché fatta di sofferenza, perché appartenente a un mondo che non c’è più, è più che mai viva?
Sapere ad esempio che la nostra splendida Riviera Adriatica, fonte di divertimento per milioni di turisti, è stato terreno di una strategia di difesa dei tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale, con i suoi bunker e i “denti di drago”, non vi fa accapponare la pelle? Fra l’altro prospettando un’invasione su quelle coste che non c’è mai stata?
E, grazie ai volontari del “Bunker Tour” da Punta Marina Terme a Cesenatico, possiamo riscoprire dove stavano annidati i tedeschi nei bunker sulla spiaggia, che sono restaurati e ben conservati.
Già si sta pensando a un tipo di turismo storico-bellico visto il grande apprezzamento di pubblico verso gli eventi organizzati.
In tutt’Italia difatti poi si sta strutturando una rete di persone che hanno la passione della valorizzazione, documentazione e rilevazione dei manufatti bellici a difesa delle coste italiane, sia della Prima che della Seconda Guerra Mondiale.
Mi domando se è più il fascino di una costruzione bellica che attira i visitatori nei tantissimi tour condotti da questi volontari, oppure un processo di immedesimazione nel nostro recente passato la cui memoria è ancora viva grazie a chi ci ha vissuto la propria giovinezza, rassomigliante a noi a un film?
Ricordo in uno di questi Bunker Tour una persona anziana che si mescolò a noi con la sua bicicletta con tanto di sporta appesa, alla fine della spiegazione, prese la parola e disse: “Guardate, io abito qui vicino e ho vissuto tutti i momenti dall’occupazione dei tedeschi fino all’arrivo degli americani.”
“Ero uno degli operai della Todt (l’organizzazione tedesca che disciplinava e gestiva gli uomini lavoratori) e costruivo i bunker.”
“Ero molto giovane…”
“IO C’ERO!”
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