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Lucia e Antonio: pentimento e perdono in terre di mafia

DiVincenzo Sanfilippo

Ott 21, 2019
Vincenzo Sanfilippo

Nello scorso mese di settembre si è svolta  a Montedoro (CL) l’assemblea del movimento Un’Altra Storia fondato da Rita Borsellino. Tema conduttore dell’incontro:  “Sentieri di umanità”. La convinzione maturata da questo piccolo movimento che in vari comuni della Sicilia ha raccolto l’eredità della sorella del giudice Paolo Borsellino è quella che non possa tracciarsi una linea netta di separazione tra la dimensione etica ed esistenziale di ciascuno e  quella della sfera politica. Ecco allora che agli incontri di questa cinquantina di persone  non mancano mai i momenti che impegnano il corpo: respiro, yoga, danza. Inoltre, alle riflessioni sul senso della politica (il Movimento ha attivato da tre anni una Scuola di formazione politica) si accompagnano testimonianze di impegno particolarmente significative sui temi dell’accoglienza, della comunità, delle scelte ecologiche, della partecipazione, del contrasto alle mafie.

Tra le testimonianze di quest’ultimo incontro, particolarmente significativa quella di Lucia Di Mauro, vedova di Gaetano Montanino, guardia giurata uccisa nell’agosto del 2009 da una banda di giovanissimi camorristi che si volevano impossessare della sua pistola. Della banda faceva parte il killer Antonio, un giovane diciasettenne, che, dopo l’arresto, inizia un percorso di reale pentimento. Antonio chiede al Direttore del Carcere di volere incontrare la vedova Montanino. La richiesta arriva a Lucia, che, pur sensibile al futuro dei minori in carcere, dove ha cominciato a fare volontariato, resta interdetta di fronte a questa particolarissima provocazione. Il Direttore del Carcere minorile, che conosce la sincerità del percorso di Antonio, condannato nel frattempo a ventidue anni di carcere, manifesta tutta la sua preoccupazione per il trasferimento in un carcere per adulti, dove il suo destino sarebbe segnato per sempre. La riconciliazione con Lucia faciliterebbe invece un percorso penale alternativo. Lucia, che prima dell’omicidio svolgeva il lavoro di assistente sociale, comprende bene che la giustizia riparativa, questa volta, non è una teoria da leggere su un manuale ma una domanda che arriva al profondo del suo cuore ancora ferito. Si consulta con i familiari che la sconsigliano: incontrare quel giovane sarebbe un oltraggio alla memoria del marito. Poi, nel 2017 l’incontro non programmato, casuale, durante una giornata dedicata da LIBERA alle vittime innocenti di mafia.  Antonio ottiene un permesso per partecipare alla manifestazione. Anche Lucia è lì, ma non sa della sua presenza. Ancora una volta Antonio insiste per incontrarla. Lei acconsente, travolta un po’ dal caso aprendo uno spazio che nel tempo si era creato nel suo intimo. Antonio le si avvicina tremante e in lacrime. Giunto davanti a lei, per l’emozione sviene tra le sue braccia. Lucia lo abbraccia, e da quel momento tutto cambia. «Non ho mai visto tanta sofferenza negli occhi di un giovane», racconta Lucia. Una sofferenza certamente diversa dalla sua, ma forse non meno intensa e drammatica. Inizia così da parte di Lucia una vera e propria adozione di Antonio, della sua compagna e dei loro due figli nati dopo l’assassinio di Gaetano.

Antonio comincia a lavorare, con una Cooperativa,  svolgendo servizi di pulizia presso il centro sociale intitolato proprio al marito di Lucia, Gaetano Montanino.

Oggi purtroppo quel lavoro non c’è più e tutto il percorso rischia di arenarsi.

Lucia, molto amareggiata, si è interrogata su questo e si sta impegnando con le associazioni di cui fa parte, affinchè lo Stato possa riconoscere il valore rieducativo del lavoro fatto da Antonio e di altri analoghi percorsi rivolti a minori catturati e plagiati dai sistemi criminali. In fondo – ci dice – con i soldi che lo Stato impiega per mantenere in carcere una persona, si potrebbero garantire percorsi d’inserimento socio-lavorativo a quei detenuti che prendono le distanze dal proprio passato criminale.

Vedere la famiglia di Antonio, killer di mio marito, crescere in ambienti più sani di quelli di origine mi dà sollievo, dice Lucia. Quando un dolore incontra un altro dolore, può avvenire che l’uno e l’altro si attenuino.

Gandhi sosteneva a tal proposito che la nonviolenza fa bene a chi la fa e a chi la riceve.

L’impegno di Lucia non si limita solo al caso di cui abbiamo parlato. Si è costituito, infatti, un coordinamento di vittime innocenti di mafia di cui Lucia Sorie è una delle più attive animatrici. All’incontro di Montedoro era con lei una giovane ragazza la cui madre è stata uccisa, per caso, quando lei era ancora bambina, da una pallottola che l’ha raggiunta durante una sparatoria.

Raccontare la mia storia – ci ha detto ancora Lucia – non è mai facile, ma so bene che se raccontassi questa storia senza emozione e intensità, servirebbe a ben poco.

È per questo motivo che Lucia, girando tutt’Italia, continua a narrarla, in particolare ai tanti giovani su cui fanno leva le mafie. Il suo impegno è una grande testimonianza di vita e traccia altresì una pista per un’azione sociale nonviolenta aperta anche alle istituzioni ed alla società civile.

Grazie Lucia.

https://drive.google.com/open?id=1abXSBrNniLNLVBGzYpNeNF5aLXBG9fAj

https://www.salto.bz/de/article/20062019/cosi-aiuto-il-killer-di-mio-marito

Di Vincenzo Sanfilippo

Svolgo la professione di sociologo nell'ambito di un Dipartimento di Salute Mentale. La mia formazione spirituale e sociale mi hanno portato in gioventù all'obiezione di coscienza e alla nonviolenza. Sono abbonato ad Azione Nonviolenta dal lontano 1975 e non posso che ringraziare questo strumento che ha contribuito alla mia formazione e che, con altri percorsi variegati (scoutismo, studi universitari a Trento, comunità del dissenso cattolico) mi ha portato alla nonviolenza gandhiana e alla Comunità dell'Arca fondata da Lanza del Vasto di cui faccio parte dal ‘95. Con amici palermitani e catanesi abbiamo costituito una Fraternità di cui potete avere notizia visitando il sito http://www.trefinestre.flazio.com/home  

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