Il 17 febbraio ci è giunta la notizia della morte di Johan Galtung, all’età di novantatre anni compiuti lo scorso 24 ottobre, universalmente riconosciuto come il fondatore e pioniere dei peaces studies, gli studi internazionali per la pace che hanno fornito uno statuto scientifico alla ricerca nonviolenta per la soluzione dei conflitti.
Galtung, nato ad Oslo e discendente da un’antica famiglia aristocratica norvegese che si era dedicata egli studi di medicina, comprende presto quale sarebbe stata la sua missione nella vita: da un lato l’adolescenza vissuta sotto l’occupazione nazista della Norvegia gli fa comprendere precocemente tutti i livelli in cui può dilagare la violenza, dall’altro lo colpisce l’omicidio di Gandhi nel gennaio del 1948 – “mi ritrovai a 17 anni a piangere come un bambino”, dirà – e da lì a poco si dichiarerà obiettore di coscienza al servizio militare, facendo anche sei mesi di prigione, ma non prima di essersi recato in biblioteca per chiedere di avere qualche libro di studi sulla pace, scoprendo che non esistono studi sulla pace ma solo sulla guerra. E’ in quella occasione che decide che colmare quel vuoto sarebbe diventato il lavoro della sua vita. Il suo primo libro, scritto con il suo maestro Arne Naess, fu proprio sull’etica politica di Gandhi.
Da lì in avanti – dopo gli studi in matematica e in sociologia – con un’attività instancabile, dapprima fonda l’International Peace Research Institute di Oslo nel 1959, il primo centro di ricerca accademica al mondo focalizzato sugli studi sulla pace, e poi l’influente Journal of Peace Research (1964). Dopodiché contribuisce a fondare dozzine di altri centri per la pace in tutto il mondo. Successivamente fa ricerca e insegnamento sugli studi per la pace in molte università, tra le quali la Columbia University (New York), Oslo, Berlino, Belgrado, Parigi, Santiago del Cile, Buenos Aires, Il Cairo, Sichuan, Ritsumeikan (Giappone), Princeton, Hawai, Tromsoe, Berna, Alicante (Spagna) e decine di altre in tutti i continenti. Inoltre ha contribuito a mediare, come consulente di diverse agenzie delle Nazioni Unite, decine di conflitti in ogni parte del pianeta. Ed infine ha fondato la rete Transcend International, per “realizzare un mondo più pacifico attraverso l’azione, l’istruzione/formazione, la divulgazione e la ricerca” (www.transcend.org).
“Essere contro la guerra è una posizione moralmente lodevole, ma non è sufficiente a risolvere i problemi delle alternative alla guerra e delle condizioni per la sua abolizione”, scrive Galtung, è necessario dunque costruire “la pace con mezzi pacifici” (Esperia, 1996). I contributi di Johan Galtung a questo scopo, distribuiti in decine di libri e migliaia di articoli, relazioni e conferenze, sono molteplici ed hanno fornito alcuni dei concetti fondamentali sia della ricerca accademica sulla pace che ai movimenti nonviolenti, e non si possono indicare qui se non per alcuni macro titoli: dalla costruzione della base epistemologica degli studi sulla pace con un approccio olistico, al lavoro sul trascendimento dei conflitti attraverso le fasi “diagnosi-prognosi-terapia”, dall’identificazione e analisi dei diversi livelli in cui si manifesta la violenza “diretta-strutturale-culturale” e la corrispettiva costruzione della nonviolenza al collegamento tra teorie del conflitto, dello sviluppo e delle macroculture, fino all’educazione nonviolenta e al giornalismo di pace.
Anche il rapporto di Galtung con l’Italia è stato intenso, passato nel nostro pese non tanto attraverso la ricerca universitaria, quanto i movimenti di base e figure significative che hanno collegato l’attivismo nonviolento con la riflessione teorica. In particolare ricordiamo l’esperienza di Danilo Dolci in Sicilia dove Galtung si reca tra il ‘56 e il ‘57 per studiarne e sostenerne l’azione nonviolenta – occasione per imparare anche la lingua italiana tra le moltissime parlate da Galtung – e la stretta collaborazione più recente con Nanni Salio, prematuramente scomparso, che non solo è stato il maggiore divulgatore dell’approccio di Galtung nel nostro Paese, favorendone anche la traduzione e pubblicazione di molti scritti, ma ha inserito il Centro studi Sereno Regis nella rete internazionale Transcend, ospitandolo più volte fino al Convegno organizzato per i suoi ottanta anni. Sul sito web del Sereno Regis si possono trovare molti articoli di Galtung, tradotti in italiano. E per un più esaustivo approfondimento dell’opera di Galtung per il momento rimandiamo, non a caso, al testo di Nanni Salio, Il contributo di Johan Galtung alla trasformazione nonviolenta dei conflitti, sul numero della rivista Parole-chiave dedicata alla Nonviolenza (fascicolo 2/2008).
“Non esiste alcun conflitto – per quanto l’odio sia interiorizzato, il comportamento violento istituzionalizzato e la contraddizione, l’incompatibilità, il tema del conflitto insolubili – che non possa essere trasformato attraverso la nonviolenza”, scrive Galtung in Pace con mezzi pacifici, e con la sua stessa consapevolezza il miglior saluto che possiamo dargli – in questi tempi in cui la guerra e la sua ideologia sono tornate a riprendersi la scena globale – è l’impegno a continuarne e svilupparne l’opera di ricerca, educazione ed azione per la nonviolenza.