• 3 Dicembre 2024 17:38

Majid Bita Nato in Iran Canicola

DiEnrico Pompeo

Apr 26, 2024

È uscita in libreria pochi giorni fa la ristampa di Nato in Iran, di Majid Bita, candidato ai premi Micheluzzi del Napoli Comicon come miglior fumetto d’esordio. Il graphic novel, che in questo caso può essere definito graphic memoir, è un racconto autobiografico che combina l’indiscutibile portata emotiva delle vicende nel narratore protagonista con soluzioni tecniche e strategie narrative efficaci e di innegabile impatto visivo.

Il racconto prende avvio con una sequenza drammatica caratterizzata dall’uso di inquadrature soggettive: il piccolo Majid si sveglia di soprassalto, i vetri tremano, e in cielo ci sono esplosioni e creature mostruose e mortifere che volteggiano: sono i bombardamenti aerei iracheni sull’Iran. Mentre i suoi familiari cercano di mettersi in salvo, il bambino, come paralizzato, continua a vivere la scena come se si trattasse di un sogno. In questa sequenza iniziale ci sono molti degli elementi visivi che segnano questo racconto.

L’autore- che attualmente risiede a Bologna, dove è arrivato 9 anni fa- si autorappresenta attraverso i ricordi dell’infanzia e della giovinezza, un vissuto che si svolge sullo sfondo della storia convulsa dell’Iran all’indomani della rivoluzione komeinista. Per questo la caratterizzazione dei personaggi rimanda spesso al dato sociopolitico, con il nonno del protagonista nostalgico dello Scià, e lo zio e il padre che hanno partecipato alla rivoluzione, e da uomini fortemente occidentalizzati più tardi, all’instaurarsi della dittatura islamica, dovranno bruciare tutte le loro riviste. La dimensione collettiva e pubblica della vita in Iran è complessa e ambigua anche nell’esperienza di vita del narratore che trasferisce questa incertezza nelle sue riflessioni e nel testo visivo. Attingendo dalla pittura e dal disegno, l’autore utilizza materiali semplici come china e biro per far affiorare il racconto dalla nebbia della memoria. Anche il sogno ha un ruolo centrale nella pratica del racconto, ma più che un veicolo, sembra essere la dimensione in cui buona parte delle vicende narrate prendono forma.

Il bombardamento che apre la storia, la scena del mercato dove il giovane Majid si perde per ritrovarsi immobile, circondato da inquietanti figure di corvi antropomorfi sono rielaborazioni di materiale esperienziale trattato dalla lente onirica, per definizione ambigua e confusa, che ammanta la vita in Iran. Il disegno traduce questa ambiguità alternando una linea più pulita, che l’autore usa per disegnare le scene familiari, nelle quali i personaggi hanno occhi rotondi e neri, meno espressivi, e un’altra più confusa e insistente, più drammatica, una specie di tratteggio arricciato che distorce le figure del sogno. Le due tipologie di segno grafico distinguono, a detta dell’autore, realtà vissuta e sognata e mano a mano che ci si addentra nel racconto si fanno più distinte e nette. Le macchie scure, il fumo, la sporcizia che invade le tavole risponde alla confusione evocativa e anche alla volontà di occultare parte del passato del paese, ciclicamente rinnegata.

L’autore racconta il morso della censura e la scoperta di un tesoro editoriale di riviste e libri occidentali che il padre e lo zio leggevano negli anni ’70 prima che fossero banditi dalla dittatura religiosa. Bita rende il fascino ma anche la pesantezza di un’eredità culturale ingombrante con la metafora della coperta tradizionale tramandata di generazione in generazione, un oggetto prezioso, che copre riscaldando ma al tempo stesso opprime con il suo peso.

Le ultime due parti del libro raccontano della gioventù di Majid, mostrando le manifestazioni dei primi anni 2000 e incrementando un’altra interessante caratteristica tecnica: l’autore inserisce elementi tecnologici -riviste, radio e automobili nei contesti abitati dai civili ed elicotteri e mitragliette nelle sequenze con i militari che reprimono le contestazioni- in formato fotografico, come sagome estratte alla nostra esperienza contemporanea di realtà, così attenta al compito di documentare e archiviare.

Una scelta forte per un disegnatore così legato alla pratica manuale, che però comprende l’importanza iconica di certi elementi e strizza in questo modo l’occhio alla contemporaneità.

L’ultima parte racchiude la decisione dell’io narratore di partire per l’Italia- paese del quale la sua famiglia ha sempre ammirato l’arte e la letteratura- con la relativa difficoltà per avere i documenti necessari e il rimpianto di non riuscire a cambiare la situazione di repressione politica nel proprio paese.

Il ruolo dell’artista è comunque quello di gettare una luce, di provare a far sapere cosa succede in luoghi lontani e raccontati in modo poco approfondito dai grandi mezzi di comunicazione.

Un intento, quindi, non solo comunicativi, ma anche etico.

Buona lettura!

Di Enrico Pompeo

Enrico Pompeo è nato a Livorno nel 1972. Docente di Lettere, è autore dei romanzi: ‘Una curva improbabile’ (Edizioni Edicom 2001); ‘Il Drago, il Custode, lo Straniero’ (Ed. Creativa 2016. Premio Speciale della Giuria ‘Alda Merini’ 2017), ‘Nessuno ha dato la buonanotte’ (MDS editore, novembre 2021.Prima ristampa Aprile 2022) e di un libro di racconti ‘Scritti (S)Connessi’ (Ed. Creativa 2018. 3° Classificato in ‘EquiLibri’ 2018). È drammaturgo e regista dello spettacolo ‘La Cattiva Strada’, patrocinato dalla Fondazione De André. Scrive recensioni per le riviste ‘Azione Nonviolenta’ e ‘Offline’. Organizza laboratori di arte e comunicazione presso l’Agriturismo Montevaso.