Un amico, bravissimo insegnante, ricorda, a me e ad alcuni altri, la morte di Giovanni Ardizzone, con una ben documentata ricostruzione storica. È il suo modo, appassionato e rigoroso, di fare scuola.
Grazie a lui rileggo anche un bell’articolo di Camilla Cederna, “Il bastone di Stato”. È un ritorno di ricordi. Le quotidiane notizie sulla guerra in corso in Europa, sulla minaccia incombente di escalation fino all’uso del nucleare, mi riportano a quel tempo lontano. È nell’ottobre del ’62 la crisi dei missili installati a Cuba, minacciata di aggressione dagli USA, dopo il fallito tentativo, l’anno precedente, della Baia dei Porci. Il pericolo di una guerra mondiale si avverte. Si tengono manifestazioni. Una particolarmente rilevante è a Milano. In questa, il 27 ottobre, Ardizzone viene schiacciato da un automezzo della polizia.
Il giorno dopo con Gastone, Orio e Piero – ci sono certo anche altri, ma io ricordo loro – siamo con i nostri cartelli a chiedere pace e a piangere la morte di Ardizzone. Ha giusto i miei anni. Andare in piazza, anche pochissimi, distribuire volantini su fatti che riteniamo rilevanti, sarà nostra pratica negli anni successivi. Ci sembra necessario sottolineare l’impegno per la pace. Siamo reduci dall’incontro un mese prima con Aldo Capitini a Perugia, proprio nel momento in cui si viene costituendo il Movimento Nonviolento. Aldo ci parla della crisi della nostra civiltà “pompeiana” e della necessità di agire, nel tempo che ci separa dalla catastrofe, con la nonviolenza, muovendo dal basso. Nella presentazione pubblica di questi temi Gastone prende la parola.
Sorgono “Consulte della pace” un po’ ovunque e noi partecipiamo. Gli slogan sono semplicissimi. Uno molto ripetuto, soprattutto se si fa una piccola marcia o una fiaccolata, è “Pace sì, guerra no”. “Contro i blocchi” ci piace pure. Anche “Contro l’imperialismo” va bene. Preferiamo si dica “Contro gli imperialismi”. “Disarmo” va benissimo, ma non è così usato. Noi vorremmo si dicesse “Disarmo unilaterale”, “Obiezione di coscienza”. Non sono slogan ufficiali, ma nelle manifestazioni sono accolti. La parola PACE sembra mettere tutti d’accordo, quelli che manifestano, almeno.
Oggi dopo sessanta anni, non è più così. Infatti alle proposte di iniziative che mirano alla pace, cominciando dal cessare il fuoco, si oppongono molte obiezioni. La prima è “E chi non vuole la pace?”. Si scopre poi che i cosiddetti pacifisti sono – si spera inconsapevoli – alleati dell’aggressore, ora in difficoltà e che va quindi incalzato. Devono essere piuttosto stupidi poiché in tanti e in tanti modi spiegano loro come stanno veramente le cose. Un’eccezione si fa per il Papa perché è il suo mestiere, anche se c’è chi gli ricorda che potrebbe farlo meglio. Un po’ come il palo della banda dell’Ortica. Lascio il presente, augurando il successo a iniziative come quella prossima del 5 novembre. Penso quanto sia prezioso che giovani ucraini e russi riescano a parlarsi e meritorio sia chi ha saputo farsi ponte e contatto. Penso delegassimo a loro, obiettori e disertori, trovare l’accordo ci sarebbe qualche buona possibilità.
Torno al 1962, anno decisivo per la nascita del piccolo, tenace Movimento Nonviolento. Con Aldo è dall’estate Piero Pinna. Proviene dal lavoro con Danilo Dolci a Partinico. Per quell’impegno lascia il posto di lavoro in banca a Ferrara. Anche quell’esperienza, intensa, dall’autunno del ’60 fino all’estate del ’62, si conclude. Raggiunge Aldo a Perugia. Con lui è Birgitta Ottoson, che sposa, conosciuta a Partinico nel lavoro con Dolci. È la collaborazione necessaria a Capitini per tradurre, almeno in parte, in azione propositi da tempo maturati. Matteo Soccio in” Vita di Pietro Pinna”, allegato al numero di Azione nonviolenta del luglio-agosto 2017, ricorda che, proprio all’inizio di quell’anno, Aldo sollecita, in due lettere, Goffredo Fofi a una stretta collaborazione.
“Questa della pace è cosa da svolgere in tutta Italia. Dice giustamente Gambino nell’Espresso che ‘il contrasto tra pacifisti e guerrafondai sarà il tema culturale del 1962’; ma chi è che lavora seriamente per i primi? Io faccio il massimo, ma mi spezzerò presto… Morrò ringraziando soltanto gli sconosciuti e i lontani. Pensa che questo problema della pace, è decisivo, eppure chi è che si dà da fare per girare tutto il Mezzogiorno? Nelle marce sarà come al solito: che i pacifisti verranno, se verranno, la mattina freschi come pasque, non un mese prima con attività e soldi… Il momento è decisivo anche per questo. La critica al Pci come la facciamo noi è infinitamente più aperta all’avvenire, di quanto facciano (o non facciano più) gli iscritti, che fanno come i gatti, che girano inseguendo la coda. Ebbene, tutte queste cose risultano? Per nulla. Noi e gli altri avremmo da studiare e scrivere, e ci sarebbe da elaborare e diffondere, proprio un gruppetto, e non si fa, perché
o c’è assenza o non c’è il senso che sono cose decisive, più del prendere moglie o dell’imparare a guidare l’auto”. E ancora “Da diciassette anni faccio proposte di lavoro; se esse fossero state raccolte organicamente (a parte l’intuizione della Thomas), noi oggi avremmo una forza in Italia, di decine di migliaia di persone disposte al lavoro dal basso, a portare con sé assemblee popolari, a fare lavoro di pace e rifiuto dei blocchi, a contrastare sul serio, anche in campagna, alla chiesa, a prendere e suscitare iniziative cooperative, a formare gruppi risoluti di obbiettori di coscienza eccetera”. La proposta rivolta a Pinna non cade nel vuoto.
Il ’62 è un anno speciale anche per Zavattini, che ha stretto i rapporti con Capitini in occasione della marcia della Perugia Assisi del ’61 ed è pure in contatto con Danilo Dolci. Lo vorrebbe protagonista di un film autobiografico: “Si dovrà sentire il tuo fiato dietro i fotogrammi.” Non se ne farà nulla. In un articolo su Rinascita del 9 giugno, intitolato la pace la pace la pace, lancia l’idea di cinegiornali della pace. “Entro tre, quattro mesi noi vogliamo riuscire a far vedere in qualche cinema romano il ‘Giornale della pace n.1’. Evidentemente contiamo che poi vi sia il n. 2, il n. 3 e così di seguito. Di che cosa si tratta? È una cosa molto semplice. Tutti quelli che hanno una macchinetta da ripresa a 16 millimetri possono parteciparvi. Ci sono già dei periodici, alcuni famosi che vanno nelle sale cinematografiche italiane e di tutto il mondo, cioè i cosiddetti ‘giornali di attualità’. Siamo sinceri, di solito è una attualità che ricorda i vecchi Pathé Frères, come se il mondo non facesse che ripetere se stesso. Una loro caratteristica è che non vi si parla mai della pace, se non con quei soliti affrettati ingressi di delegati di questa o quella nazione che passano davanti ai foto-reporters rapidi come uccelli. E che sono sempre troppo legati a interessi di parte… A Cuba ne ho parlato con i miei amici del giovane cinema cubano, sono pronti a collaborare. Anzi l’idea mi è venuta a Cuba parlando con loro”.
Anche questo mi riporta all’uccisione del giovane a Milano, sessanta anni fa, e alla targa collocata nel luogo “Giovanni Ardizzone caduto il 27 ottobre 1962 a difesa della pace e del popolo cubano”. Sento Ivan che canta la Ballata dell’Ardizzone.
Un verso in particolare mi colpisce e lü ‘l vusava: “Si alla pace e no alla guerra!” e cun la pace in buca a l’è mort. Posso pensare a Giovanni Ardizzone con in bocca la dolcezza della pace, “questa parola rotonda come una sfera”, come scrive Zavattini e ci ricorda Valentina Fortichiari.