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Matteotti e Costituzione a Rovigo

DiDaniele Lugli

Dic 6, 2021

La sala è quella del Consiglio provinciale. In quest’aula il consigliere Matteotti, 2 ottobre 1914, sostiene in un ordine del giorno la neutralità assoluta, a qualunque costo, con toni tali da provocare l’uscita dalla sala dello sdegnato Prefetto. Sempre qui, 5 giugno 1916, gli viene tolta la parola per le sue dichiarazioni disfattiste. Il Prefetto ne chiede l’arresto, che non ci sarà. Ci sarà una condanna confermata in appello, per essere annullata l’anno dopo in Cassazione. Per ritorsione Matteotti, riformato perché affetto da tubercolosi ne sono morti giovani i fratelli Matteo e Silvio e una recrudescenza del male lo ha costretto lungamente a letto nell’estate e autunno del 1915 è richiamato alle armi. È internato lontano dal fronte, sotto stretta sorveglianza, a Campo Inglese vicino a Messina, e congedato solo nella primavera del 1919.

Impedire la guerra, farla cessare, rimediare ai suoi guasti è compito dei lavoratori, coscienti dei loro interessi e diritti. “Il Partito socialista ha il dovere di opporsi continuamente alla guerra, e al suo strumento e creatore, il militarismo, e vota contro le spese militari”, scrive su “Critica sociale” nel febbraio 1915. “Neppure c’è da rallegrarsi troppo che altre forze abbiano sorretto la neutralità fino ad oggi anche senza di noi. Una neutralità all’infuori della pressione proletaria, non dà nessuna garanzia, non rappresenta alcun progresso di azione e di influenza della classe lavoratrice, e domani, in altre circostanze, saremmo in balia di quelle stesse forze, che volessero invece la guerra”.

La nostra Repubblica è fondata sul lavoro e non su altro. Non più su proprietà privata, censo e tradizione, come nella monarchia, facilmente mutatasi in dittatura fascista. I braccianti polesani hanno rivendicato la loro dignità e per questo sono stati perseguitati e uccisi. “Siamo legati alla gleba che amiamo, ma non siamo servi del nostro simile”, Matteotti fa dire loro ricordandone l’uccisione. È una Repubblica, la nostra, che vuole e persegue l’eguaglianza sostanziale dei cittadini, significativamente chiamati lavoratori, al secondo comma dell’art. 3. È anzi quello della consapevole partecipazione politica il lavoro più importante, decisivo. Di qui l’impegno di Matteotti, come Gobetti ricorda, a formare “i nuclei della nuova società: il comune, la scuola, la cooperativa, la lega. Così la rivoluzione avviene in quanto i lavoratori imparano a gestire la cosa pubblica, non per un decreto o per una rivoluzione quarantottesca”.

Lavoratore è sinonimo di cittadino, anche perché il lavoro è diritto e dovere secondo l’art. 4. Nel progetto si prevedeva anche che “l’adempimento di questo dovere è condizione per l’esercizio dei diritti politici”. È significativo che questo articolo, collocato inizialmente, come altri relativi al lavoro, nel Titolo sui Rapporti economici, sia posto tra i principi fondamentali. C’è l’art. 38, che assicura mantenimento e assistenza sociale per chi non può, per diversi motivi, lavorare. Contro la disoccupazione è noto l’impegno di Giacomo per l’imponibile di manodopera. Il fratello Matteo, che lo ho preceduto nell’impegno politico e sociale, molta attenzione dedica al tema dell’assicurazione contro la disoccupazione. Oltre libertà ed eguaglianza, sostanziali e non solo formali, c’è infatti fraternità, solidarietà, Anzi è questo dovere che assicura che i diritti fondamentali, solennemente riconosciuti e garantiti, non restino sulla carta: secondo l’art. 2 alla garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo corrisponde infatti l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

L’attuale art. 11, nel progetto era l’art.4, così collocato suggella i Principi. Dopo c’è solo l’articolo sul tricolore.L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, e consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento internazionale, che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”. La proposta iniziale è di Dossetti: “Lo Stato rinuncia alla guerra come strumento di conquista o di offesa alla libertà degli altri popoli. Lo Stato consente, a condizioni di reciprocità, le limitazioni di sovranità necessarie all’organizzazione e alla difesa della pace”. Attraverso diversi passaggi in Commissione, 3 dicembre 1946, 24 gennaio 1947, si giunge all’approvazione nell’attuale incisiva formulazione il 24 marzo 1947. Non è accolta la proposta di Emilio Lussu di sostituire “organizzazione internazionale” con “organizzazione europea ed internazionale”. Né miglior sorte ha l’inserimento di “alla nascita dell’Europa” subito dopo “necessarie”. Ricordo che Matteotti, in anticipo di un ventennio, come segretario del Partito Socialista Unitario, nel 1923 scrive nelle Direttive: “L’Internazionale socialista (…) dovrà favorire il formarsi di una vera Lega delle nazioni, e più immediatamente degli Stati Uniti d’Europa, che si sostituiscano alla frammentazione nazionalista in infiniti piccoli stati turbolenti e rivali”. È il messaggio che porta nelle riunioni dei socialisti dei diversi paesi alle quali è presente, anche quando gli viene ritirato il passaporto. Lo ripete alla Camera il 19 maggio 1923: “sollecitiamo la formazione degli Stati Uniti di Europa, non rimandandola idealmente dopo il socialismo, ma affrettandola praticamente, perché essi costituiscono un anticipo sul socialismo, un avviamento al socialismo, un riconoscimento e un affratellamento fra i diversi lavoratori di tutte le nazioni”

Matteotti certo ripudia la guerra. Perché il ripudio sia efficace ci vuole la buona battaglia incruenta dei lavoratori. Di fronte alla minaccia della guerra può, deve, farsi insurrezione. Su “La Lotta”, 10 ottobre 1914, dice della necessità di contrapporsi col proprio esempio, col proprio sacrificio.

Concludo perciò con l’art. 52. “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge”. Relatore all’Assemblea costituente è Umberto Merlin, democristiano, coetaneo di Matteotti, già suo compagno di studi almeno dal Liceo. In una relazione, assieme al socialista Pietro Mancini, propone un testo stringato, “Il servizio militare è obbligatorio per tutti. La difesa della Patria è uno dei più alti doveri”. Cita a sostegno “l’articolo 133 della Costituzione sovietica, il quale (dopo aver dichiarato obbligatorio il servizio militare) così dichiara: ‘La difesa della Patria è sacro dovere di ogni cittadino”.

L’articolo è all’esame dell’assemblea plenaria il 22 maggio 1947. Vengono proposti diversi emendamenti, tuti respinti, salvo l’aggiunta alla formulazione iniziale dell’inciso “nel limiti e modi stabiliti dalla legge”. Calosso e altri propongono un testo alternativo: “La difesa della Patria è dovere di tutti i cittadini. Il servizio militare non è obbligatorio. La Repubblica, nell’ambito delle convenzioni internazionali, attuerà la neutralità perpetua”. Ho già ricordato l’intransigente sostegno da parte di Matteotti, anche in Consiglio provinciale, della neutralità assoluta a qualunque costo. Caporali propone di aggiungere al secondo comma: “Sono esenti dal portare le armi coloro i quali vi obiettino ragioni filosofiche e religiose di coscienza”. Replica il relatore: “Non possiamo accettare l’emendamento Caporali, perché in Italia una setta di obiettori di coscienza, come quella che esiste in Inghilterra per coloro che non vogliono portare le armi, non esiste, e non vedo perché dobbiamo stabilire il principio che l’onorevole Caporali propone. Rispettabile è lo scrupolo di coscienza, e già le nostre leggi ne tengono conto per i sacerdoti, ma non bisogna esagerarlo e sancirlo nella Costituzione, per non arrivare a conseguenze assai pericolose”. C’è la dichiarazione di voto di Paolo Rossi: “Volevo dire che l’onorevole Caporali avrà almeno un soldato, che sono io, nel votare questo emendamento. Mi pare che l’onorevole Relatore non abbia capito in pieno l’enorme importanza dell’argomento quando lo ha sottovalutato come una questione che possa interessare soltanto alcune sette ignorate nel nostro Paese come quella dei quaccheri. Basta che egli abbia la bontà di rileggere le discussioni antiche e recenti che si sono svolte su questo argomento nel Parlamento inglese, e che una volta di più hanno riaffermato il diritto degli obiettori di coscienza, per vedere che proprio in questa materia si era giunti, in un paese civile e di antiche tradizioni parlamentari, all’apice dell’eticità. Né si dica che l’obiezione di coscienza apre una comoda porta alla codardia. Soprattutto nella guerra moderna sono concepibili impieghi militari difensivi altrettanto rischiosi, se non ancor più rischiosi dell’impugnare le armi. Basta pensare ai servizi di addestramento antigas, ai servizi antiaerei, per vedere che un uomo, al quale per ragioni di alta coscienza ripugni di portare le armi contro il prossimo, può ugualmente, e con maggior nobiltà, morire per il proprio Paese. Voterò per l’emendamento Caporali”.

La Costituzione entra in vigore all’inizio del 1948. Alla fine dell’anno l’obiezione di coscienza del ferrarese Pietro Pinna avvia una serie di iniziative che, con processi e incarcerazione di obiettori, porta al riconoscimento del diritto. Pinna si dichiara disposto a dedicarsi non alla preparazione della guerra, ma a ricercare e rendere inoffensive mine e bombe inesplose molto presenti, come i miei coetanei ben sanno. Ora l’obiezione è nella Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea, secondo comma dell’art. 10: “Il diritto all’obiezione di coscienza è riconosciuto secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”.

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2023), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948

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