Tutta questa conversazione andrebbe riportata in dialetto, ma purtroppo non ne sono capace.
“No. Cos’hanno fatto?”
“Vanno a convivere!”
“Mo’ dai! Allora si sono decisi…”
“Ah, sì. Lui le ha già comperato la lavatrice!”.
Il bar è uno dei più piccoli che io conosca.
Quattro metri per quattro, a occhio.
Quando ti fermi lì per la pausa pranzo sai che, a decidere se si tratterà di pausa dolce o salata, sarà cos’è rimasto nell’espositore e se l’acqua sarà frizzante o naturale dipenderà dalle bottiglie presenti in frigorifero.
Sempre un gioco di fortuna, comunque.
Quel giorno, aveva detto abbastanza bene: pizzetta e acqua frizzante.
Fingendo si sfogliare il giornale, ascoltavo la conversazione e mi chiedevo se quelle parole erano il residuo di un’Italia mai lasciata davvero alle spalle o l’anticipazione di dove stiamo velocemente tornando.
Da un lato, un elettrodomestico che assurge a simbolo di un impegno serio, che prende il posto di – che so? – un anello col diamante.
Dall’altro, un acquisto fatto per la donna (“Le ha comperato…”), come fosse implicito che se in una casa si compra una lavatrice è perché c’è una donna che la userà.
Povertà economica e povertà culturale.
Sensazione di sfasamento temporale.
Che Italia è, questa?
Per raccontarla ci vorrebbero un Rossellini, un De Sica, uno Scola.
Il dialogo continua e ripete, per ribadirlo, il concetto.
“Ben ben, non ci avrei mai creduto…”
“E invece sì… le ha comprato la lavatrice…”
“Va là, speriamo che siano contenti”.
Pago ed esco.
Auguri, Stefano e Teresa.
Secondo me sarete contenti.