La prima: per motivi di lavoro devo parlare con la preside di una scuola nel Lazio, e non ci riesco (trattenere l’“echissenefrega” per un paio di minuti).
La seconda: Comincerà, a breve, la nuova, ennesima, campagna elettorale.
La campagna elettorale è un periodo in cui il concetto stesso di dialogo viene espulso dal vivere comune e le parole vengono stravolte, piegate, umiliate (abbiamo già cominciato qualche settimana fa, quando ci è stato benevolmente spiegato che le leggi razziali, l’Ovra, la risiera di san Sabba, l’assassinio di don Minzoni e di Matteotti erano una questione di “opinione”. Vedi come sono stupido, io che credevo si trattasse di una dittatura!).
Ma mortificare le parole, svuotarle, capovolgerne il significato, non è una buona strategia, nemmeno quando porta qualche risultato elettorale nell’immediato.
Stravolgere le parole non è – mai! – una cosa sana.
Inquinare il linguaggio significa fare strappi nella rete sociale.
E, il giorno dopo che avrai vinto le elezioni, gli strappi saranno ancora lì.
Dovevo parlare con questa preside nel Lazio ma la segreteria continuava a dirmi che non c’era, che “era in succursale”, che “era sempre là” e che “no, non potevo chiamarla in succursale”.
Non potevo, perché la succursale è una scuola a pochi km da Amatrice, crollata col terremoto di un anno fa, e questa scuola va ricostruita.
Non nei muri (spero che le ristrettezze di bilancio non costringano questa preside ad andare al lavoro con betoniera e forati!), ma nella rete di cui quella scuola è un nodo importante: una rete di cittadini, di famiglie, di bambini, di insegnanti, di bidelli… e ancora: di servizi di trasporto, riscaldamento, elettricità, connessione Internet, formazione per il personale…
Dai giorni del terremoto quella donna è “sempre là” ad aggiustare una rete.
Alla fine, è tutto qui: c’è chi strappa le reti e chi le aggiusta.
Io vorrei stare dalla parte di chi le aggiusta, come quella donna, che mi dona tanta speranza.