Giro un angolo, e mi trovo davanti una scena vista già molte volte: col muso verso di me, c’è un camion della nettezza urbana, dotato di un apparato di lampeggianti e riflettori che non sfigurerebbe nelle scene iniziali di “Blade Runner”; in senso opposto, il solito SUV nero e minaccioso, coi vetri oscurati.
I due – complici anche le macchine parcheggiate nei due sensi – si bloccano reciprocamente.
Normalmente, situazioni come queste fanno sì che gli autisti inizino ad invitarsi reciprocamente alle pratiche che pare deliziassero gli abitanti di Sodoma o a fare ipotesi poco lusinghiere sui mestieri praticati con dedizione dalle rispettive madri.
Invece, questa mattina, camion e SUV iniziano un balletto di aggiustamenti, piccoli spostamenti, adattamenti, accordi.
Ma che dico, balletto? E’ Un minuetto, un pas–à-deux, un corteggiamento.
Confesso: mi fermo lì. Come fanno i vecchietti davanti ai cantieri, mi fermo a guardare.
Non che, alla fine, occorra molto.
Un paio di minuti di contorcimenti ed entrambi i mezzi riprendono la loro strada.
I due autisti si salutano col gesto della mano che fa Tex Willer quando è nella sua veste di capo Navajo.
Riprendo il cammino.
Da dove viene – mi chiedo – il blocco mentale che ci impedisce di capire che collaborare è più razionale che non collaborare?
Mentre sono ormai arrivato in ufficio, metto anche questa tra le tante domande cui non so rispondere.