• 3 Luglio 2024 11:36

Microbiografie / 32 – Una rosa per Alfie

DiGiorgio Maghini

Dic 12, 2018

Uno si chiama “nominalismo” e consiste nell’affermare che tra le parole che diciamo e la realtà non c’è alcun nesso. Le parole non sono altro che suoni nell’aria o segni su di un foglio, su cui noi ci “mettiamo d’accordo” per dare loro un significato.

L’altro, invece, si chiama realismo, perché ritiene che alle parole – anche le più astratte come “bellezza” o “verticalità” – corrisponda qualcosa di concreto.

Se si sposa la prima posizione, è un dramma.

Perché se le parole smettono di essere collegate alla realtà, parlare – comunicare, relazionarsi, esprimersi – diventa inutile.

Quando Polonio chiede ad Amleto (che sta perdendo la ragione a causa dell’assassinio del padre) cosa stia leggendo, Amleto risponde con la proverbiale battuta:

Parole, parole, parole”

(a scanso di equivoci: Mina e Alberto Lupo non c’entrano).

Allora Polonio insiste, con la cortesia che si riserva ai pazzi: “Voglio dire, che cosa dicono le parole che leggete, monsignore…”

E qui Amleto taglia: “Calunnie, signore.”

Dove le parole non significano più nulla, la vita è calunnia.

Fine del discorso.

Se si sposa, invece, la seconda posizione, il gioco si fa più sensato, ma anche molto più difficile. Se è vero che le parole hanno un significato, occorre stare a questo gioco fino in fondo, e accettare la grande fatica di scoprire quale sia la verità.

Che esiste.

Ce lo dice Giulietta, l’innamorata:

Forse che quella che chiamiamo rosa cesserebbe d’avere il suo profumo se la chiamassimo con altro nome?

No, questo lo capiamo tutti: anche se la rosa prendesse il nome di “pistone”, non smetterebbe di essere bellissima e di spargere profumo.

Tutto questa lunga premessa per arrivare a dire cosa?

Una cosa molto semplice: che cessare la ventilazione forzata, l’idratazione e il nutrimento per il piccolo Alfie – per quanto malato e senza speranza – non è e non diventerà mai “cessare l’accanimento terapeutico”.

Chi sostiene questo dice, sostanzialmente, quello che dice Humpty Dumpty in “Alice nel paese delle meraviglie”:  «Quando io uso una parola», disse Humpty Dumpty in tono alquanto sprezzante, «essa significa esattamente quello che decido io … né più né meno.»

E poco importa che a prendersi il potere di decidere quale vita sia degna di essere vissuta e quali siano cure palliative sia stata l’Alta Corte di Giustizia, la Corte d’Appello, la Corte Suprema o che altro… “Forse che quella che chiamiamo rosa cesserebbe d’avere il suo profumo se la chiamassimo con altro nome?

Di Giorgio Maghini

Pedagogista e counsellor ad indirizzo sistemico-relazionale. Si occupa attualmente dell’ufficio comunicazione della Istituzione per i servizi educativi del Comune di Ferrara. Obiettore di coscienza, è stato Insegnante di sostegno e, in seguito, coordinatore pedagogico nella scuola dell’infanzia. Attualmente coordina un gruppo di Insegnanti di Religione, coi quali riflette sulla comunicazione della spiritualità nel mondo multiculturale. Ha insegnato "Teorie della comunicazione” all’Istituto di Scienze Religiose di Ferrara.

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