Come tutte le bambine, passava le sue giornate a giocare, felicemente inconsapevole del fatto che in Europa un’ideologia d’odio avesse fatto precipitare tutto il mondo in una guerra che, in pochi anni, avrebbe visto milioni di morti a causa dei combattimenti, dei campi di concentramento, dei funghi atomici.
Non troppi anni dopo, quella bambina si fece ragazza.
Era bellissima, ma lei non se ne rendeva conto perché pensava che il suo corpo crescesse troppo in alcune zone e troppo poco in altre, e per questo non si voleva abbastanza bene.
Ancora pochi anni, e la ragazza si fece donna. Questo nuovo cambiamento la rese consapevole della sua bellezza e anche, diciamolo, un po’ vanitosa (di una vanità, sia chiaro, mai ostentata e comunque veniale).
Si sposò, ebbe due figlie che amò alla follia e che, assieme al marito, curò e servì come tutti i genitori di questo mondo.
Poi, in questa favola, il 2018 arriva in un attimo e, con lui, una sera della settimana scorsa, in cui tornavo in bicicletta dal lavoro.
Avevo imboccato una laterale di via XX settembre, solo per accorgermi che le facciate dei palazzi erano illuminate di blu dai lampeggianti di un’ambulanza, i cui portelloni erano aperti.
All’interno, deposta su una barella e avvolta in una copertina isotermica da emergenza, c’era una signora molto anziana che tremava. Aveva i capelli bianchissimi e sottilissimi e una pelle che potevi credere che si sarebbe rotta solo a guardarla.
I due operatori del 118 stavano caricando i loro strumenti e si apprestavano a partire.
La signora era accasciata e pallidissima. Il freddo, credo.
O, più probabilmente, il malore stesso per cui aveva dovuto chiamare soccorso.
Mentre passavo, non ho potuto evitare che i nostri sguardi si intrecciassero per un attimo. Sembrava mi dicesse: “Tu non puoi capire quanto sia dura scoprirsi così fragili”.
La bicicletta, per abbrivio, mi ha portato oltre. Le sono stato grato.
Arrivato a casa, la televisione era accesa su un canale all-news.
Gli sproloqui che sembravano essersi un po’ calmati nelle ultime settimane – i muri ai confini, i porti chiusi, siamo padroni a casa nostra, ci ritiriamo dagli accordi sul clima e tutte le altre fesserie – sono ripresi e tocca prendere atto che siamo al punto di prima.
È quasi Natale.
Capisco che non tutti possano avere presentissimi i versi di Aristofane:
“Dee venerande, Nubi, levatevi, oh Signore, / mostratevi, librate nel cielo, al pensatore!”
Capisco ancora di più che la nostra scarsa frequentazione con la Bibbia ci impedisca di esclamare commossi: “Signore, piega il tuo cielo e scendi!”
Però per non riconoscersi tutti fratelli nella nostra comune fragilità ci vuole proprio stolidità.
O violenta malafede.
(vigna di Mauro Biani)