Ha ragione. Ridiamo tutti poco.
Non parlo, ovviamente, dei ghigni acidi, dei mezzi sorrisetti formali e dei ringhi minacciosi che incontriamo ogni giorno. Quelli non sono altro che l’espressione mimica di questa fottuta legge del più forte che sta paralizzando il mondo.
Parlo, invece, delle risate che esplodono quando ti senti libero e vivo.
Quelle, sono rare.
Giorni dopo – è quasi l’una di notte – sto tornando a casa a piedi da una riunione.
Sul marciapiede, incrocio quattro ragazzi reduci, evidentemente, da abbondanti libagioni. Tre si tengono per le braccia, formando un triangolo. Il quarto sale ondeggiando sulle loro spalle e alza i pugni al cielo.
Una volta assestatosi (faticosamente) sulla vetta, il ragazzo rutta.
Un rutto
interminabile,
ciclopico,
grottesco,
monumentale.
I suoi amici ridono talmente che lui finisce per cadere.
Io passo velocemente con la faccia severa dell’uomo di mezza età, ma dentro sto ridendo anch’io.
Mi nasce un pensiero da educatore.
Che forza fenomenale c’è in questi giovani! Il giorno in cui noi adulti riusciremo a far loro una proposta seria per valorizzarla, questo mondo lo ribaltiamo in quattro e quattr’otto.
Arrivo a casa, e mi accorgo che sto ancora ridendo.