Non che si parli molto di lui, di questi tempi. Ed è un peccato perché, nella nostra era dell’ipercomunicazione, avrebbe molto da insegnarci.
Roscellino è il filosofo medievale che ha coniato l’espressione “flatus vocis” (con la quale voleva affermare che i concetti universali non hanno referente, ma sarebbe un discorso lungo).
“Flatus vocis”, cioè: inutile emissione di fiato, suono inutile.
Anzi: fastidioso e inopportuno come quello di un peto o di un gorgoglìo intestinale in pubblico.
Ma dire che le parole sono “flatus vocis” non significa dire che sono “innocue” o “trascurabili”. Al contrario, le parole vuote fanno tanto male, perché inquinano il mondo in cui viviamo.
Un esempio di “flatus vocis” – cioè parole inutili come un peto e dannose come l’inquinamento – è l’affermazione del maestro di Foligno che avrebbe detto (dico “avrebbe” perché ancora c’è una parte di me che non vuole crederci) di aver umiliato un bambino di colore per “una sperimentazione didattica, peraltro condivisa con la classe”.
(Lo ripeto: c’è una parte di me che ancora vuole a tutti i costi credere che sia tutto un enorme, sfortunato, doloroso malinteso.)
Tuttavia, è per questo che oggi sarebbe bello avere Roscellino qui con noi: per accompagnare a calci in culo quel maestro da Foligno, dove ha la cattedra, fino a Compiègne (Francia) paese natale del controverso filosofo nominalista.