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Microbiografie/7 – Kh’Ator e la clava

DiGiorgio Maghini

Feb 25, 2017
neanderthal

A me risultava che gli ultimi uomini di Neanderthal risalissero a 40.000 anni fa, e non saprei proprio dire come abbia fatto Kh’Ator ad arrivare ai giorni nostri.

Kh’Ator è attentissimo a non far sapere della sua presenza.
Sta molto in casa e, quando esce, si infila una tuta, sneakers sfondate e un paio di vecchi occhiali da sole. Tutti lo prendono per un pensionato un po’ più peloso della media e, insomma, lui non disturba nessuno e nessuno disturba lui.

Io e Kh’Ator siamo amici da anni, e a volte ci piace andare a prendere un aperitivo insieme per due chiacchiere. Ci siamo visti anche la settimana scorsa e, fra una patatina e un’oliva, abbiamo fatto più o meno il seguente discorso.

Kh’Ator: “Vedo che impazza un nuovo revival: il ritorno della clava…”

Io: “Eh, capisco cosa vuoi dire… un pazzoide che parla di aumentare gli arsenali nucleari, un altro che fa i test con i missili balistici, l’altro ancora che parla di “nuovo ordine mondiale…”. Stavo già per partire con un dolente riassunto della mia ampia competenza geopolitica, quando il mio amico mi fermò:

K: “No, no, non mi riferivo a quello. Dicevo proprio qui in Italia…”
Io “E cioè?”
K: “Al fatto che non riuscite più a ragionare su nessun problema. Su quelli più complessi. Ma anche su quelli apparentemente più facili…”
Io: “…”
K: “Leggevo i giornali, in questi giorni, e ho visto qual è l’andazzo…
invece di cercare una qualche forma di gestione del problema di tutti questi ragazzi che arrivano dall’Africa, uno dei vostri capi tribali ha proposto la “pulizia di massa”.
Al posto di fare una legge che regoli i diritti e i doveri dei taxisti, scatenate la guerriglia per le strade.
La vostra scienza vi rende incredibilmente potenti, ma piuttosto di riflettere sul perché un medico può vivere un conflitto di coscienza quando si trova tra le mani la vita e la morte di un embrione fate concorsi chiedendogli di giurare che il conflitto non si verificherà mai, pena la perdita del posto.
Avete una donna a capo di un ramo del vostro parlamento, ma quando lei dice qualcosa di scomodo la minacciate di violenza sessuale…
Tu questo come lo chiami?”

Kh’Ator aveva ragione: abbiamo schemi linguistici raffinatissimi e strutture di pensiero che pretendono di definire il bene e il male, ma quando incontriamo qualcuno che è diverso da noi, invece del ragionamento, invece della discussione (per quanto scomoda e faticosa) la prima opzione è sempre liberarsene.

E la cosa brutta che Kh’Ator mi stava facendo notare è che questo approccio non riguardava solo certi partiti politici “brutti, sporchi e cattivi”, non riguardava solo gli hater dietro la tastiera.
Ci riguarda tutti (anche quelli di noi più colti, più raffinati, più votati), nel momento in cui delegittimiamo l’altro, anche solo con una battuta.

Un vero “revival della clava”.

Facevo fatica a reggere la pesantezza di questa semplice constatazione di Kh’Ator, e perciò finii il bicchiere in un sorso e ripresi la parola:
“E della Spal, che mi dici della Spal?”

Di Giorgio Maghini

Pedagogista e counsellor ad indirizzo sistemico-relazionale. Si occupa attualmente dell’ufficio comunicazione della Istituzione per i servizi educativi del Comune di Ferrara. Obiettore di coscienza, è stato Insegnante di sostegno e, in seguito, coordinatore pedagogico nella scuola dell’infanzia. Attualmente coordina un gruppo di Insegnanti di Religione, coi quali riflette sulla comunicazione della spiritualità nel mondo multiculturale. Ha insegnato "Teorie della comunicazione” all’Istituto di Scienze Religiose di Ferrara.

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